XVIII Domenica dopo Pentecoste

Ne 1,1-4;2,1-8; Sal 83; Rm 15,25-32; Mt 21,10-16

Il Vangelo di oggi richiamo a tutti una scena non priva di violenza. Giotto, nella cappella degli Scrovegni, l’ha resa con una drammaticità unica. L’artista si è richiamato in realtà alla descrizione del Vangelo di Giovanni che è ancora più dettagliata nei contorni violenti di Gesù che addirittura opera dei lacci di corda quasi per scagliarli contro i venditori.
Nasce dunque la domanda: Gesù è stato violento? Sarebbe interessante ascoltare il vostro pensiero su questo: Gesù era violento? Che rapporto c’era tra l’aggressività, la violenza, la forza e Gesù?

C’è chi dice che il cristianesimo abbia bandito del tutto l’idea della violenza e di aggressività. Ne risulta spesso un’immagine di cristiano “da sacrestia”: sempre sorridente, sempre connivente, sempre sereno… Come una certa immagine (falsa) di suorina sempre devota, a mani giunte (salvo magari versare mezzo chilo di sale alla sera nella minestra della suora superiora…). A sostenere quest’immagine vengono portate le parole di Gesù di offrire l’altra guancia, di dare anche la tunica a chi ti chiede il mantello, etc.

Torna allora la domanda: Gesù è stato anche violento nella sua vita? Lui come ha gestito l’aggressività nella sua vita? Ha trattenuto tutto?
Il tema è centrale non solo nel cristianesimo ma in tutta la cultura occidentale. Solo per fare un esempio: come inizia l’Iliade, il primo grande romanzo della storia? Inizia dicendo: “cantami o Musa l’ira di Achille pelide”. Il tema di tutto il libro è l’ira, l’aggressività, la violenza, la rabbia di un uomo!

Prima di rispondere sulla violenza di Gesù è bene fare una osservazione decisiva. In questo vangelo, prima di raccontare la cacciata dei mercanti, si dice che la gente si chiede chi sia Gesù. Interessate perché il vangelo ha colto qualcosa di estremamente profondo: l’identità di una persona è sempre legata all’aggressività, tanto che non c’è identità senza aggressività. Neanche per il signore Gesù.

La grande questione dell’identità (quello che io sono e mi sento essere) è infatti un processo (attenzione, non un dato, ma un cammino… come per il Vangelo il diventare discepoli…) che necessita sempre di una energia per non fermarsi, per non subire semplicemente l’immagine che gli altri hanno di me, piuttosto che le circostanze nelle quali sono. L’esempio più eclatante avviene con gli adolescenti che sono soggetti in fortissima ricerca di identità: essi necessariamente maturano molta aggressività che però è un’energia che gli permette di diventare loro stessi indipendentemente dall’immagine che le altre persone (i genitori) gli proiettano addosso. Immagine che è a loro davvero insopportabile: devono infatti scoprire loro stessi chi sono e quanto valgono. Per farlo gli è però necessario ribellarsi, avere una qualche energia, prendere in mano la loro vita, appassionarsi a qualcosa…

Aggressività non è solo sinonimo di rabbia, ma anche di capacità di iniziativa, di “aggredire” appunto la vita senza subila sempre. Anche il Vangelo sa perfettamente che non c’è identità (non c’è persona) senza una sviluppo dell’aggressività, di trasgressione.
Si potrebbe concludere erroneamente che un po’ di aggressività anche per il Vangelo va bene, ma che troppa invece risulta dannosa. Ma il punto non è la quantità di aggressività o di rabbia che dobbiamo sorbire o sfogare.

Il punto invece è che questa rabbia Gesù la mette sempre (e la mette tante volte, dunque c’è la violenza e anche verbale, pensate agli scontri con i farisei…) a difesa di qualcuno e mai per sé stessi, mai per difendere sé. La rabbia di Gesù è sempre in difesa di altri.
C’è un altro episodio nel Vangelo che mostra bene questo: la cattura di Gesù al Getzemani raccontata da Giovanni. In quel racconto è Gesù stesso a farsi avanti, e le guardie indietreggiano quasi impaurite (Giovanni dice che cadono a terra). E c’è la domanda –ripetuta– di Gesù che “con violenza” dice: “chi cercate” (quasi a dire “fatevi sotto”)? E tuttavia lo fa non per difendere sé, ma per proteggere i discepoli che erano dietro, infatti, subito dopo, si consegna.

L’ira e la rabbia fanno parte della vita perché sono l’unico modo che abbiamo per aggredire il vivere e non rimanere a metà in tutto (né caldi né freddi). Ma servono a costruire una identità cristiana quando ci arrabbiamo, ce la prendiamo, battiamo i pugni a favore di qualche debole, di un modo intelligente di vivere, per educare qualcuno…. e non per un nostro capriccio o perché ci fa male la pancia. La violenza diventa il peggio atto di superbia se servE solo a difendere noi stessi.

Scoprirsi forti eppure scegliere di essere deboli per quanto riguarda sé stessi, usando quella forza a favore di qualcosa di grande o di qualche debole, questa è una scelta che coinvolge tutta la nostra identità e personalità facendoci davvero somigliare al Signore Gesù. Non è una strada impossibile.