VII domenica dopo Pentecoste

Link alle letture.

Il tema delle letture di oggi mi sembra quello della scelta, il momento della libera scelta. È un fatto unico nella religione che va meditato. Già Giosuè non obbliga Israele a seguire il Signore ma dice: scegliete chi volete seguire. Solo aggiunge: “dal canto mio, seguirà il Signore” come un testimonianza ma nulla di più.

È interessante che dica: “scegliete chi volete seguire…” e non “dove seguire…”. Perché dobbiamo sempre seguire qualcuno. Alla fine, la scelta nella vita non è se essere cristiani o atei, se seguire una religione o nulla, perché qualcuno dobbiamo per forza seguire. Se non seguiamo il Vangelo magari seguiamo noi stessi, una nostra ambizione, un piccolo ideale, un qualche idolo… ma qualcuno dobbiamo seguire. Allora la domanda resta: chi vogliamo seguire nella vita?

Ed è impressionante tutta questa libertà. Anche Gesù la riprende e dice: “volete andarvene anche voi?” Senza trattenere nessuno. Impressionante perché noi spesso abbiamo paura di restare da soli, allora rimaniamo con qualcuno più perché temiamo la solitudine che per la verità di una scelta o di un affetto. Più che amare temiamo di restare da soli, temiamo di perdere qualcuno, mentre per Gesù non è stato così. Non c’è stata questa paura.

Ma un legame che non sia vero e libero è qualcosa di non poco frequente nella religione. Si può ancora oggi restare cristiani più per dovere, per senso di colpa, per rimorso… In una bella intervista nel 1982, il famoso cantautore Lucio Dalla, alla domanda se era credente, rispose:

Assolutamente sì. Anzi questa è una delle poche certezze che non ho mai messo in discussione, né ho mai provato imbarazzo a parlarne in pubblico anche quando era di moda essere atei a tutti i costi. Ma a proposito del mio modo di credere in Dio, mia madre mi insegnò qualcosa di molto importante: che si deve essere religiosi ma non fino al punto di rinunciare alla propria indipendenza.

Non rinunciare alla propria indipendenza lo interpreto così: non rinunciare a scegliere liberamente, continuando di giorno in giorno a scegliere, senza fare le cose solo per la paura di non essere più amati o di rimanere soli. Oppure solo per un ruolo ormai acquisito.

Perché tutta questa libertà, questo non impossessarsi mai dell’altro, costi il rischio di vederlo perdersi? Penso che Dio non tolleri di essere “sopportato”. Voler bene è possibile solo dentro il rischio della libertà.

È impressionante pensare che Gesù si sia portato dietro Giuda (ed altri, dice questo Vangelo) pur sapendo che non gli credeva, che era lontano… e gli ha voluto bene uguale, anche se lui ed altri non lo credevano. Questo è pazzesco da pensare. Fa così uno che non fa come siamo soliti fare noi. Noi diciamo: ti voglio bene, ma ti voglio più bene se ricambi il mio amore, oppure… “se fai come voglio io”, oppure “se vai bene a scuola”… il nostro è un modo di voler bene pieno di “sì” e “ma”. Per questo forse i primi Cristiani -già prima gli Ebrei- quando pensavano a Dio pensavano al matrimonio, ovvero quell’amore di due persone che ha saputo dirsi un giorno: ti voglio bene senza “se” e senza “ma”, anche nella malattia, nella separazione e pure senza pretendere che tu mi ricambierai. Penso che così sia stato Gesù con i dodici.