VII Domenica di Pasqua

At 1,15-26; Sal 138; 1Tm 3,14-16; Gv 17,11-19

Raccolgo due idee dal Vangelo di oggi che spero di sviluppare con voi.

1) La prima è questa, Gesù dice: “io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo” e più avanti “Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo”. Tutto il Vangelo di Giovanni, fin dal Prologo è attraversato da queste parole: i discepoli e il mondo. Cosa significano? Due domeniche fa si leggeva: “io non prego per il mondo”? Perché qualcuno non è del mondo?
Penso che da subito dobbiamo cancellare due immagini immediate. Da un lato l’immagine degli adulti (o degli anziani) che si lamentano che il mondo va male (non si va a Messa, non ci si sposa più in Chiesa, non ci sono i Valori). Insopportabile e ti viene da chiedere a queste persone: ma tu? oggi, nel tuo oggi, il Signore lo ha incontrato o vivi di ricordi? E altrettanto insopportabili quei ragazzi non sanno guardare la realtà e per loro tutto è uguale e tutti sono uguali: “che preghi o non preghi”, tanto tutti “pregano o non pregano in cuor loro”, “che sei cristiano o no”, tanto tutti siamo peccatori, che vieni o no all’oratorio, tanto tutti ci vengono o non ci vengono. Dove nulla è preso sul serio, e non c’è un vero no o un vero sì (su alcuni ragazzi io sono qui alla porta e li aspetto che si decidano una buona volta).
Tutto questo ha a che fare con un modo di vedere il posto dove siamo (dagli amici alla politica) che non è quello che ha in mente il Signore Gesù quando dice: siete nel mondo e non siete del mondo. Perché questa affermazione è molto più profonda e crea una divisione, prima che tra noi e gli altri, crea una divisione dentro di noi. Cosa in me è del mondo e cosa in me è solo nel mondo? Non è una divisione che subito separa me dagli altri ma separa me da me. Questo mi sembra importante.
Cosa è una divisione interna? Lo dico con un esempio.
Un grande pittore, Marc Chagalle, dipingeva dei quadri che avevano spesso l’ebreo errante. C’è tra gli ebrei una figura di uomo che non si ferma (come Gesù del resto) in un villaggio, ma porta in giro la sua sacca e viaggia senza fermarsi. Bene, quell’ebreo errane è importante tra gli ebrei non tanto perché tutti gli ebrei si ricordino che anche loro che hanno casa devo essere -nel modo di vivere la loro dimora – anche loro in fondo ebrei erranti. Tante sono le immagini: quella eterna del pellegrino. Non serve per dire che bisogna abbandonare il mondo, ma che non siamo di questo mondo.
Vorrei dire: è uno sguardo che non si lascia appiattire dal presente, ma capisce il desiderio più profondo che lo abita e ma chiama da lontano. Appiattirsi al presente e perdere memoria è la malattia di oggi.

2) Questa preghiera insegna anche un’altra cosa. Insegna cosa significa amare e volere veramente bene a una persona. Amare non significa togliere ogni separazione tra me e chi mi sta di fronte. Amare non è una fusione. Amare non è stare sempre attaccato. Anche se il mio desiderio va in questa direzione, io posso dire che se amare fosse questo io ucciderei chi mi sta di fronte e anche me stesso. Gesù sta per sperimentare una separazione forte dai i suoi e per questo desidera. Si impegna con una promessa di custodire l’altro e desiderare profondamente di rivederlo. Bonhoeffer scriveva in vita comune: “non dovete vergognarvi, quando siete lontani dai fratelli, di desiderare di rivedere il loro volto”.
“Custodire” ecco cosa significa. Molto più che curare, molto più di possedere, è invece portare in sé l’altro, anche nel tempo dell’assenza e dei distacchi, come perla preziosa. Accompagnare ed essere accompagnati, avere negli occhi la sua luce, la memoria delle parole dette, i silenzi, altra parola, i gesti. Tutto. L’assenza si confonde con la presenza e ne rompe il confine; necessaria, quasi – come una conferma che l’Altro c’è in noi…