VI Domenica dopo l’Epifania

1Sam 21,2-6a; Sal 42; Eb 4,14-16; Mt 12,9b-21

La scelta delle letture di oggi contiene un messaggio non difficile da decifrare, ben noto e visibile a tutti: c’è una misericordia che supera la legge. Oppure, per dirlo con S. Paolo: la pienezza (il compimento) della legge è l’amore. La frase suona bene e appare bella. Anzi, dopo duemila anni di cristianesimo sembra anche ovvia: Gesù insegna non una legge ulteriore, ma il comandamento dell’amore per il quale si può trasgredire anche il sabato o, come nella prima lettura, le norme sul pane consacrato. Lo sappiamo dal catechismo.

Bello! Dunque, dove sta il problema? Forse nel fatto che ci appare davvero troppo ovvio e scontato. Ciò che è ovvio è nemico del vero, diceva un pensatore. Questo significa che il messaggio ha perso forza e nel testo del Vangelo ci appare incomprensibile come si possa mettere a morte uno per questo. Ce la sbrighiamo dicendo che gli ebrei del tempo erano fanatici e così, al tempo stesso, ci tiriamo fuori dal problema.

Martin Scorzese, regista italo americano, ha affermato di recente che ha accettato di fare un difficile film su un pezzo di storia americana per un motivo: perché per i giovani americani è troppo ovvia la libertà nella quale vivono. Un valore ovvio è un valore in pericolo perché pian piano non è più percepito.

Al contrario, la rivoluzione di Gesù dovrebbe apparirci sempre strepitosa. Perché? Perché essa riguarda il punto che rende umano un uomo e non lo lascia invece come gli animali o come i robot e le macchine. Insegniamo questo ai ragazzi: mentre gli animali stanno in relazione tra loro per sopravvivere (la lotta della sopravvivenza), e combattono per questo, l’uomo può fare anche lui così, ma è anche l’unico che può decidere una via diversa. Può smettere di preoccuparsi di sé, dei suoi diritti, della sua eccellenza (come si è soliti dire oggi) e appassionarsi della buona riuscita degli altri, fino a togliersi il pane dai denti. Il valore del suo gesto è la gratuità con il quale si compie, ma questo fa sì che si possa anche arrivare a cinquant’anni continuando a fare come gli animali. Dare 300 euro a un operaio giovane, facendolo con anche il muso di chi gli sta facendo un favore (“perché la crisi…”), mentre l’azienda fa soldi e si è appena comprata una nuova macchina… non è questo un comportamento da animali che continuano a farsi la lotta nella giungla?

Noi abbiamo costruito una società dei diritti che è più farisaica di quella del tempo di Gesù. Tutti i rapporti sono regolati da questi elenchi infiniti di diritti/doveri (basterebbe vedere la paralisi del mondo del lavoro o della scuola per questo). Io insegno a scuola e cosa mi hanno chiesto il primo giorno? Se avevo passione per l’insegnamento? No, mi hanno fatto firmare un foglio con i miei diritto e doveri. Perché? Perché abbiamo smesso di credere nell’uomo e nella sua qualità prima: la gratuità di una mamma che da quando ha il figlio non gli importa più di prendersi le scarpe nuove perché mette via i soldi per il piccolo… Si chiamava virtù, non è catalogabile in una casistica o in un diritto, ma è ciò che fa di quella mamma una vera mamma. Ecco! E questa gratuità non è l’esperienza nella quale tutti veniamo al mondo e cresciamo?

La rivoluzione di Gesù, tutt’altro che ovvia, ripone la questione dell’essere uomini e non soggetti regolati da diritti e doveri. Ciò che ci rende uomini resta un fatto del cuore. Si compiono atroci ingiustizie con tanto di codici e norme e ci si dimentica di quello che ci distingue dagli animali: siamo liberi di rinunciare alla lotta della sopravvivenza per il bene di qualcuno. Il Vangelo continua a ricordarcelo.