VI domenica dopo il martirio

Is 45,20-24a; Sal 64; Ef 2,5c-13; Mt 20,1-16

Penso che il commento più bello e profondo a questo vangelo l’abbia fatto Dostoevskij in un raccontino dei Fratelli Karamazov. E’ una storia triste, ma mette in luce lo stesso punto del Vangelo. Si tratta della leggenda della cipollina. Narra lo scrittore: c’era una volta una donna cattiva cattiva che morì, senza lasciarsi dietro nemmeno un’azione virtuosa. I diavoli l’afferrarono e la gettarono in un lago di fuoco. Ma il suo angelo custode era là e pensava: di quale suo azione virtuosa mi posso ricordare per dirla a Dio? Se ne ricordò una e disse a Dio: – Ha sradicato una cipolla nell’orto e l’ha data a una mendicante. E Dio gli rispose: – Prendi dunque quella stessa cipolla, tendila a lei nel lago, che vi si aggrappi e la tenga stretta, e se tu la tirerai fuori del lago, vada in paradiso; se invece la cipolla si strapperà, la donna rimanga dov’è ora. L’angelo corse della donna, le tese la cipolla: – Su, donna, le disse, attaccati e tieni. E si mise a tirarla cautamente, e l’aveva già quasi tirata fuori, ma gli altri peccatori che erano nel lago, quando videro che la traevano fuori, cominciarono ad aggrapparsi tutti a lei, per essere anch’essi tirati fuori. Ma la donna era cattiva cattiva e si mise a sparar calci contro di loro, dicendo: “E’ me che si tira e non voi, la cipolla è mia e non vostra. Appena ebbe detto questo, la cipolla si strappò. E la donna cadde nel lago e brucia ancora. E l’angelo si mise a piangere e si allontanò.

Il racconto di Dostoesvskij mette in luce per me il punto del vangelo. Il fatto che sia tragica non deve spaventare: se non fosse tragica non farebbe pensare. Così è anche “tragico” il Vangelo, nel senso che racconta uno scontro e un fraintendimento. Del resto, il vangelo è una buona notizia, ma una buona notizia che paradossalmente da fastidio, irrita e porta allo scontro.
Infatti, se dovessimo vedere le reazione che abbiamo di fronte a questo vangelo non potremmo dire di essere soddisfatti. C’è una parte di noi che dice infatti: Dio sarà anche buono ma non giusto.
La stessa sensazione che provò Primo Levi quando lesse questa storia dei fratelli Karamazov. Scrive nel libro i sommersi e i salvati che questa storia gli aveva da sempre dato la nausea. Non poteva pensare che Dio trattasse allo stesso modo una donna cattiva che aveva dato solo una cipollina come un santo che aveva vissuto tutta la vita in povertà. Quando Levi scrive questo ha in mente gli aguzzini e le vittime dei lager. E si domanda: “quale mostro umano non ha mai donato in vita sua una cipollina, se non ad altri ai suoi figli, alla moglie, al cane?” Perché dunque dovrebbe essere salvato allo stesso modo anche lui?

Di fronte a quella che dovrebbe essere una buona notizia, c’è un senso umano della “giustizia” che si irritato. E questo quante volte succede anche a noi nella quotidianità? Perché a quello che ha fatto meno di me è capitato questo o non ha vissuto quest’altro…
Ma su cosa si basa questa sensazione di una ingiustizia? Se gli operai della vigna fossero i nostri figli ci lamenteremmo ancora? Oppure capiremmo che ciò che è dato a loro è come se fosse dato a noi, o per citare un’altra parabola, nella risposta del padre al figlio geloso della parabola del figliol prodigo: non hai capito che quello che è mio era già tuo e non c’era alcuna proprietà da difendere?

Insomma, quel senso di ingiustizia si fonda su una certa idea di proprietà, di “mio”, di diritto, di sospetto nei confronti dell’altro. Ed è quello che rovina definitivamente la vecchietta della storia che si sarebbe salvata insieme a tutti gli altri se avesse smesso di pensare alla sua salvezza (alle sue cose) come a qualcosa che doveva essere solo per sé. Dimenticandosi che tutto nella nostra vita, ci è dato per grazia e che non c’è davvero nulla che nasca solo dal prodotto della nostra fatica.

Concludo con una ultima citazione. Il filosofo Nietzsche, che certamente non era credente, tuttavia si era accorto che la società stava andando verso un tempo che, esaltando sempre di più il lavoro umano come opera della conquista del mondo, non sapeva vivere più la gratuità e la grazia che invece è la vita. E scriveva: verranno tempi nei quali ci vergogneremo a passeggiare nei boschi per il solo gusto di farlo e se incontreremo qualcuno gli diremo che in realtà lo abbiamo fatto per poi lavorare di più.
Invece, dice questo vangelo, non dobbiamo vergognarcene e saremo ripagati ugualmente.