VI Domenica dopo il Martirio del Precursore

Is 45,20-24a; Sal 64; Ef 2,5c-13; Mt 20,1-16

Il brano di Vangelo di oggi è collocato nel contesto che potremmo titolare “l’attività di Gesù nella Chiesa”. Contiene infatti lunghe istruzioni e storie riguardanti solamente i discepoli (le pecorella smarrita, il perdono cristiano, il divorzio…).

E’ questa una prima osservazione importante: quanto afferma questa parabola non è la visione di una società pubblica “alternativa”, di una nuova “politica”, non dice quello che devono fare i datori di lavoro in ufficio o i giudici nei tribunali o i maestri quando valutano a scuola. La logica di questa parabola non è la nuova etica a base di un modello alternativo di società (idealistico). Al contrario, essa è la conseguenza di quanto accade per chi ha incontrato il Signore Gesù, ogni volta che incontra proprio Lui nella vita e non altro. Per questo è importante capire che la parabola è indirizzata ai discepoli e non ai fariseo, ai romani o ad altri. Perché descrive ciò che accade ogni volta che accade il Signore, ogni volta che incontriamo davvero Lui e non ogni volta che dobbiamo pagare le tasse o fare un discorso ai figli.

Chi confonde questi due piani finisce per allontanare il Signore dalla vita affermando che tanto il Vangelo è impossibile e irrealizzabile, come fosse appunto una cosa da attuare o da fare invece che una cosa da riconoscere. Oppure finisce per pensare a una società ideale che non avverrà mai e che non metterà mai d’accordo gli uomini.
Invece, la logica che qui si descrive (la logica che paga il primo operaio come l’ultimo) è la logica propria di quando si rende visibile il Signore, non il tuo capoufficio, di quando la Chiesa è realmente la Chiesa e non un centro sociale e nemmeno una istituzione religiosa, ma la Chiesa del Signore Gesù.

Proprio questa sua unicità, l’unicità di questa logica che la distingue da tutto il resto, rimane per noi un grande insegnamento a vigilare. Vigilare perché questa logica è fastidiosa sopratutto a noi che siamo sempre tentati di trasformare questa Chiesa in altro. Siamo sempre tentati di fare della Chiesa un gruppo (i vari gruppetti Ado, Preado, 3a età…), un centro, una parrocchia (anche con il migliore dei fini) o di farne una istituzione della distribuzione di servizi religiosi (battesimi, matrimoni, funerali…) oppure, ancora, un movimento che condivide una ideologia. Con tutte le logiche che il gruppo, il movimento, la parrocchia anche richiedono: devi venire agli incontri, devi pensarla in un certo modo, devi condividere certe cose…

Invece, questa parabola ci richiama all’identità vera e a non lasciarci confondere: la Chiesa è l’incontro gratuito con il Signore Gesù che avviene nei momenti più unici e più strani della vita (quando sei ragazzo, quando hai 50 anni, quando hai incontrato un prete strano…). E non ha in sé nessuna logica di scambio o di ricatto, perché vive di quell’unica cosa che gli importa, ovvero, la gratuità della propria chiamata.
Per questo mi fa sempre sorridere l’obiezione di quei ragazzi che dicono: ora sono giovane, non ci penso e mi diverto. Poi quando sarò vecchio e non mi rimarrà nulla, allora ci penserò così avrò anche io il paradiso. Che logica assurda questa che teme quell’incontro o che è interessata a una retribuzione, fosse anche il paradiso.

Chi ha incontrato il Dio cristiano sa che non è affatto così e non gli importa di alcuna retribuzione, fosse anche il paradiso. Vede invece nella sua vita la presenza di un filo rosso, di una continua chiamata, di un continuo venirci a cercare. Mi disse una volta un ragazzo “se non fossi finito qui ora sarei perduto…”. La chiesa non è la parrocchia ma il luogo di questa gratuità. Dove questa gratuità si realizza non tanto perché “ci sforziamo di essere buoni” con tutti, ma perché invece è una gratuità che abbiamo sperimentato su di noi. Dico sempre, al di fuori di questa “gratuità”, che chiede di essere purificata con il fuoco, con la nostra ribellione e fatica nel voler accettare questa logica, il volersi bene è solo un atto di narcisismo e tutto diventa “problema”. “Al mondo tutto è problema, meno una cosa: la carità, l’amore. L’amore solo non è un problema per chi lo vive” (Fratel Carretto, Lettere dal Deserto).

Fratel Carretto, un grande uomo spirituale che ha vissuto nel deserto, scrive una frase interessante che metterei a commento della situazione degli operai che attendono di essere chiamati:

Gli uomini di Galilea avrebbero continuato a pescare nel lago e a frequentare la sinagoga di Cafarnao, se non fosse venuto Lui a dire: “Venite”. Ecco la verità che dobbiamo imparare nella fede: l’attesa di Dio; e questo non è un piccolo sforzo come atteggiamento dell’anima. Questo “attendere”; questo “non preparare piani”; questo “scrutare il cielo”; questo “far silenzio” è la cosa più interessante che compete a noi.