VI Domenica dopo il Martirio

Letture

LETTURA Gb 1,13-21 Lettura del libro di Giobbe Un giorno accadde che, mentre i suoi figli e le sue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del fratello maggiore, un messaggero venne da Giobbe e gli disse: «I buoi stavano arando e le asine pascolando vicino ad essi. I Sabei hanno fatto irruzione, li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontartelo». Mentre egli ancora parlava, entro un altro e disse: «Un fuoco divino e caduto dal cielo: si è appiccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato soltanto io per raccontartelo». Mentre egli ancora parlava, entro un altro e disse: «I Caldei hanno formato tre bande: sono piombati sopra i cammelli e li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontartelo». Mentre egli ancora parlava, entro un altro e disse: «I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del loro fratello maggiore, quand’ecco un vento impetuoso si è scatenato da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che è rovinata sui giovani e sono morti. Sono scampato soltanto io per raccontartelo». Allora Giobbe si alzò e si straccio il mantello; si rase il capo, cadde a terra, si prostro e disse: «Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!». SALMO Sal 16 (17) Volgiti a me, Signore: ascolta la mia preghiera. Ascolta, Signore, la mia giusta causa, sii attento al mio grido. Porgi l’orecchio alla mia preghiera: sulle mie labbra non c’è inganno. R Dal tuo volto venga per me il giudizio, i tuoi occhi vedano la giustizia. Saggia il mio cuore, scrutalo nella notte, provami al fuoco: non troverai malizia. R Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio; tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole, mostrami i prodigi della tua misericordia, tu che salvi dai nemici chi si affida alla tua destra. R EPISTOLA 2Tm 2,6-15 Seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo Carissimo, il contadino, che lavora duramente, dev’essere il primo a raccogliere i frutti della terra. Cerca di capire quello che dico, e il Signore ti aiuterà a comprendere ogni cosa. Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di Davide, come io annuncio nel mio Vangelo, per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore. Ma la parola di Dio non e incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che e in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Questa parola e degna di fede: Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso. Richiama alla memoria queste cose, scongiurando davanti a Dio che si evitino le vane discussioni, le quali non giovano a nulla se non alla rovina di chi le ascolta. Sforzati di presentarti a Dio come una persona degna, un lavoratore che non deve vergognarsi e che dispensa rettamente la parola della verità. VANGELO Lc 17,7-10 ✠ Lettura del Vangelo secondo Luca In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Dobbiamo fare una precisazione iniziale su questo vangelo. La frase finale “siamo servi inutili” non rende il senso del testo. L’aggettivo “inutile” è del tutto inappropriato rispetto al senso delle parabole di Gesù. Il servo non è inutile; non è inutile che prepari la tavola o che lavori nei cambi. Se il suo lavoro fosse inutile sarebbe licenziato dal padrone. Gesù non vuole dire, in modo forse cinico e nichilista, che la nostra vita e la nostra fatica sono alla fine una cosa senza senso.
In effetti l’aggettivo “inutile” è soltanto una cattiva traduzione del testo originale. La parola usata è “akreios” che ha due significata: il primo è “inutile” nel senso “che non serve a nulla” (in contraddizione con il servire del servo), il secondo uso, più raro ma ben attestato, è invece “umile”, “povero”, “semplice”. Questo secondo significato diventa molto più coerente rispetto al senso della parabola: “siamo semplici servi”, ovvero: “non siamo nulla di più che dei servi”, “non siamo i padroni”.
Il significato è quello che il nostro essere servi non deve essere un vanto per noi stessi, come nessuno marito si vanterebbe di aver amato la propria moglie o i propri figli e questo semplicemente perché era nell’ordine delle cose che doveva fare. Come non c’è un valore aggiunto in un marito che ama la propria moglie perché è semplicemente il suo compito, così non dobbiamo presumere di valere di più rispetto a ciò che siamo chiamati a compiere nel proprio dovere.

La questione ultima che nasconde questa parabola è il fatto di sentire che siamo servi e non padroni e che il nostro essere servi è non è un merito ma soltanto il modo giusto nella vita per vivere autenticamente, per compiere il nostro dovere di uomini ed essere felici. Per vivere felici occorre capire che il proprio dovere non è di diventare padroni ma di diventare servi. Gesù lo dice di sé stesso: non sono venuto per farmi servire ma per servire. Anche S. Paolo, alla fine della sua vita dirà: “ho scoperto che c’è più gioia nel dare che nel ricevere”. La vita è più bella e piana quando si è servi che quando si finge di essere padroni.

Ecco però il punto: accettare di non essere padroni non è a costo zero. San Paolo nella seconda lettura dice che si tratta di operare una lotta. Una parte di noi scalpita e vorrebbe che la vita vada dove e come decidiamo noi e non accetta invece di poter soltanto rispondere a dei comandi o delle circostanze che non può decidere. Eppure con questo dobbiamo fare i conti ugualmente: nessuno è padrone del proprio tempo né degli altri e le cose più belle della vita, gli affetti più veri, vivono infondo di questo non essere padroni. Ma è una esperienza faticosa.

La vita famigliare è forse uno dei quei campi dove emerge chiaramente come siamo chiamati a essere servi perché le giornate non si trasformino in lotte e litigi. Non si tratta però di diventare servi o schiavi della volontà degli altri, dei capricci dei figli o del partner. Purtroppo molti di noi diventano schiavi degli altri. Si tratta invece, credo, di diventare servi del “bene” degli altri. La differenza è enorme.
Un’altro campo dove si coglie che c’è una felicità nascosta nel riconoscere che siamo soltanto servi è la vita sociale, per esempio in un’occasione come quella che abbiamo vissuto delle code al supermercato. Siamo in coda, dobbiamo rispettare il tempo degli altri e a noi pare di perdere tempo! Fremiamo perché vorremmo fare in fretta e subito, siamo sotto la dittatura di crederci padroni del nostro tempo, e invece facciamo l’esperienza che neanche del nostro tempo siamo padroni, dobbiamo aspettare quello davanti che ha i suoi tempi, che magari è anziano e ci impiega una vita a trovare la monetina…

Potremmo passare una vita lamentandoci di essere servi, oppure possiamo accorgerci che sì perdiamo qualcosa, perdiamo un controllo anche su noi stessi e sul nostro tempo, ma ci guadagniamo molto, se non altro siamo liberati dallo stress della nostra performance. Il servo infondo è più sereno: sa che non decide tutto, sa che quello che deve fare è semplicemente quello che la vita gli chiede ogni giorno.