VI domenica di Pasqua

At 26, 1-23; Sal 21; 1Cor 15, 3-11; Gv 15, 26-16, 4

La liturgia di oggi vuole farci riflettere sull’idea dello Spirito che il Signore dona ai Suoi, che non fa scandalizzare della morte, da testimonianza e consola.
Mi soffermo su tre aspetti.
1) Dice questo Vangelo che lo Spirito viene da Dio ma che dal principio noi gli apparteniamo. Lo spirito è dentro di noi, ma non è una cosa nostra perché viene da Dio. Nei primi capitoli del libro della Sapienza si dice che lo spirito è una realtà sottile che ascolta tutto e protegge tutto, ma nel cap. 7 Salomone deve invocarlo come Spirito che viene dall’alto – perché non è una cosa che si possiede. Detto in modo molto semplice: ci sono cose che dividendole si perdono o si disperdono perché esistono solo nella forma di un possesso. I soldi, per esempio, sono così: se li divido sono meno. Ma dobbiamo riconoscere che ci sono cose altrettanto vere e che ci danno felicità solo quando non sono solo nostre o non le possediamo solo noi: per esempio, l’amicizia; c’è solo se è tra me e te. Il respiro di un uomo – sapete che l’immagine dello Spirito è questa – è una cosa che c’è solo quando non la trattengo. Bisogna entrare in questa logica di una cosa da sempre donata, antica e sempre nuova. Avete in mente una mamma che da al figlio tutto quello che ha e il figlio non si accorge di nulla. Perché non si accorge di nulla? Perché non è entrata nella logica che usa sua mamma che è felice quando può fare un regale.
Agostino riconosce Dio quando riconosce questa logica di un dono che lo attende da sempre: tu Signore eri già lì che mi attendevi. Io non c’ero, io non ero presso di me, ma tu eri lì ad aspettarmi.
Dico sempre ai ragazzi: o la Chiesa è il luogo dove percepiamo una chiamata che viene da lontano o falliamo il nostro incontro con il Signore.

2) Lo spirito è Paraclito, è difensore e da testimonianza. Io direi così con qualche esempio: lo Spirito è riserva di affettività. Cosa intendo? Avete in mente Adamo ed Eva? Ricordate che la prima parola che Dio gli rivolge non è “non mangiare”, ma “tutto questo è tuo”. Bene, tuttavia un attimo dopo nasce il sospetto. Il sospetto che Dio sia geloso, che sia invidioso o abbia paura degli uomini e per questo gli tenga nascosto qualcosa. Allora lì cosa accade? O mi affido o mi lascio vincere dal sospetto. Lo Spirito è quella riserva affettiva che mi fa ricordare i dono ricevuti e non mi fa cedere a nessun sospetto.
Nella scrittura Israele si fida, vive l’esperienza della prova, poi dice: mi fido anche se non vedo e in questo spazio posso credere che tu farai qualcosa di nuovo. Ecco il grande grido di Gesù sulla croce: Luca dice che Gesù sulla croce dice “consegno (paredoke) lo Spirito”. Questa riserva affettiva io la grido a te.
E’ una esperienza che accade quanto un’immagine si frantuma perché non la sento più e io faccio memoria e mi affido a questa forza.
Il grande S. Bonaventura diceva: il problema è che a volte amiamo di più l’immagine della fidanzata più della fidanzata. A volte amiamo l’immagine di Dio più del nostro Dio vivevete. Ma come faccio ad amarlo al di là della mia immagine di Dio? E il santo diceva (da mistico): l’immagine più bella non è quella che ti rappresenta, ma quella che ti mette una nostalgia per cui continui a cercare Dio attraverso tante immagini. Lo Spirito non è interessato a quale immagine, ma che quella funzioni come un sigillo che crei una nostalgia: un vuoto che diventi invocazione.
Nel dialogo tra le religioni Giovanni Paolo II continuava a dire: non stare a discutere sulle immagini di Dio nel Corano, ma preoccupati se attraverso quelle immagini lo Spirito di Cristo riesce a imprimere una nostalgia di fede e carità. Noi conosciamo Dio con lo Spirito di Dio, non perché abbiamo una immagine, ma perché lo Spirito imprime una nostalgia nel nostro cuore e la vita diventa un cammino.

3) Se è vero questo le comunità si fanno in due modi, o secondo lo Spirito o -diceva un grande uomo morto in un campo di concentramento- secondo lo psicologico o i pruriti o le simpatie della pancia. Quante volte da prete ho sentito dire: se c’è quella lì non vengo. Se c’è quell’altro che mi sta antipatico allora non ci sono. Oppure dire ai giovani che sono invitati: “sì ma dimmi chi viene”. Ma cos’è questa paura delle simpatie, questo modo di farci amicizie secondo la pancia e non secondo un fratello che mi è donato? Non è l’ideale o la mia immediata amicizia che fa una comunità ma un cammino dove imparo a ricevere il fratello a un nuovo livello, oltre le mie antipatie e i miei ideali di famiglia o di comunità. Questo è ciò che fa lo Spirito.