VI domenica di Pasqua

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Vorrei riflettere sulla dinamica del tempo che vive Gesù. Gesù sembra saper aspettare. Molte volte nel vangelo dice: “non è ancora giunta la mia ora”. Non tutto “subito” ed “ora”, ma passi distesi nel tempo. Così per i discepoli, per loro “non è ancora il tempo della verità totale”, dovranno aspettare la morte di Gesù, allora capiranno. Dovranno attendere “un poco e poi un poco ancora”, attimi che per alcuni sono brevi come giorni e per altri lunghi anni, eppure l’ora della tua verità ci sarà, fosse anche un’istante prima dell’ultimo respiro. Il tempo incompreso e incomprensibile della prova sarà alle spalle come la mamma che abbraccia il figlio appena nato e dimentica il dolore del travaglio. Lo diciamo spesso ai piccoli: “devi saper aspettare, non tutto subito”, eppure quanto questo discorso riguarda noi!

Gesù ha questa pazienza che non è un rimandare decisioni per sé, ma un saper aspettare l’altro, il suo destino e i discepoli. Cristianamente si chiama la virtù della pazienza. Ho in mente alcuni genitori che hanno i figli adolescenti e vorrebbero che capissero subito molte cose, mentre invece devono aspettare… a volte i figli hanno tredici o quattordici anni e io so che prima di arrivare alla consapevolezza di alcune verità, prima di poter tornare a parlare con i propri genitori da adulti, dovremo aspettare anni e talvolta decenni! Grande pazienza occorre a chi ama davvero e non si impone sugli altri! Grande pazienza occorre sul lavoro oggi per chi non voglia diventare cinico sul proprio destino.

Vorrei fare una nota su questa virtù. Noi spesso confondiamo la “pazienza” con il “trattenere”. Non credo che il paziente sia colui che si trattiene, che trattiene quello che vuole dire o quello che pensa… questo sarebbe più un “castrato” che un paziente. Cosa è dunque la pazienza? Credo sia la capacità di riportare o “portare tutto al suo vero destino”. Lo capacità di collegare l’oggi al frutto di domani, in altre parole chiedersi “che senso ha?” quello che faccio oggi. Le mie amicizie, i miei affetti, i miei amori o le mie passioni, dove mi portano, a cosa portano, quale frutto porteranno? Il criterio di Gesù per la verità di una cosa, il criterio pratico di scelta, non è –come per noi– che esso appaghi un mio desiderio, ma che esso porti frutto. Se una cosa porta frutto, è feconda e non sterile allora non può che essere buona. Se una cosa alla lunga ti lascia da solo, ti porta alla solitudine, ti allontana da Dio e dagli altri, è solo per te o non aiuta nessuno… non è una cosa da seguire, ma da tagliare.

La pazienza è la capacità di vedere il frutto anche quanto il frutto è ancora da attendere, anche quando si è nelle doglie di un parto, o qualcosa non corrisponde al nostro desiderio, eppure sappiamo essere una cosa buona, insegnata dal Signore e dalla Chiesa.
C’è una frase del Vangelo di Luca che riprende lo stesso tema, dice Gesù: “con la vostra perseveranza (pazienza) salverete la vostra anima”. E’ interessante che ciò che c’è in gioco nella pazienza, ovvero la capacità di resistere dentro una strada anche faticosa ma fruttifera, è esattamente la propria identità, il proprio essere. E’ quello che succede a quei ragazzi sempre protetti e tolti dalle fatiche o dalle difficoltà della vita (sempre protetti dai genitori o dagli amici o dalla fortuna), alla fine perdendo la capacità di “resistere” alle prove, restano fragili, insicuri, malati nell’io. E’ come se Gesù avesse capito che molto praticamente, anche per noi, il carattere e la fede si formane solidamente nelle prove che si affrontano… purché siamo sulla strada di ciò che ci rende fecondi. Altrimenti i nostri dolori sono solo le nostre frustrazioni narcisistiche e non le doglie di un parto!

Vorrei ribadire l’importanza di capire che la pazienza è in fondo solo la capacità di guardare alla meta, di capire e chiedersi il senso delle cose che facciamo. Una volta ho incontrato un ragazzo di scuola che andava male in tutte le materie e gli ho chiesto perché andasse così male nonostante fosse molto intelligente. La sua risposta fu: “perché si fa fatica! don”. “Non è vero!”– ho risposto. Il problema non è mai che “si fa fatica”. Gli ho detto: “se tua madre ti chiama alla tre del sabato pomeriggio per andare a fare la spesa tu cosa gli dici?” Risposta “non ho voglia, si fa fatica”. “Ma se te lo chiede la Francesca –che era la ragazza che piaceva a questo studente– cosa gli dici?”. Mi ha detto: “Di corsa! don… per forza, perché è la Francesca!” Non è vero che non senti la fatica perché “è la Francesca”, ma perché sai dare un senso alla tua fatica. Così la donna che partorisce direbbe Gesù…

Concludo: non scappare, non andarsene alla prima difficoltà quando siamo sulle strada buone, quella che porta frutto secondo il Vangelo, quella seria… non mollare alla prima frustrazione, coltivare la pazienza e l’aiuto fraterno: non solo quindi consolarci a vicenda tra amici, ma talvolta anche rimproverarci… oggigiorno è una grande testimonianza cristiana. Quanto sarà lungo il nostro “ancora un poco” nessuno di noi lo sa, talvolta decenni altre volte soltanto tre giorni, ma alla fine “con la nostra perseveranza troveremo noi stessi”.