V Domenica dopo Pentecoste

Letture

LETTURA Gen 11, 31. 32b – 12, 5b Lettura del libro della Genesi In quei giorni. Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè di suo figlio, e Sarài sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nella terra di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono. Terach morì a Carran. Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. Abram prese la moglie Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan. SALMO Sal 104 (105) Cercate sempre il volto del Signore. Ricordate le meraviglie che ha compiuto, i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca, voi, stirpe di Abramo, suo servo, figli di Giacobbe, suo eletto. R È lui il Signore, nostro Dio: su tutta la terra i suoi giudizi. Si è sempre ricordato della sua alleanza, parola data per mille generazioni, dell’alleanza stabilita con Abramo e del suo giuramento a Isacco. R «Ti darò il paese di Canaan come parte della vostra eredità». Quando erano in piccolo numero, pochi e stranieri in quel luogo, non permise che alcuno li opprimesse e castigò i re per causa loro. R EPISTOLA Eb 11, 1-2. 8-16b Lettera agli Ebrei Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. VANGELO Lc 9, 57-62 ✠ Lettura del Vangelo secondo Luca In quel tempo. Mentre camminavano per la strada, un tale disse al Signore Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Un tema che mi pare evidente nelle letture di oggi è quello della fede intesa come fiducia verso un futuro a noi sconosciuto ma che non mette paura. È la figura di Abramo che morto il padre lascia la sua terra, lascia le proprie certezze, e si incammina in una regione che non conosce. Mi viene in mente un amico che mi raccontava questa settimana di aver lasciato la sicurezza di un posto fisso, di un lavoro stabile per comunicare una avventura lavorativa che non sa come finirà. Ci sono tanti Abramo tra noi.

C’è una vita che talvolta è routine, ripetizione dell’identico, altre volte invece si incammina su terreni precari e instabili o fa dai salti su terreni nuovi: per esempio anche sposarsi per quanto chi abbia convissuto senta meno il salto, continuo a pensare che sia un’altra cosa.

Purtroppo, il tema della precarietà, di vivere in una terra instabile con un futuro incerto e che non controlli, per molte persone è semplicemente la quotidianità (non una scelta, come per Abramo, ma un dato di fatto) ed è spesso fonte di molta ansia.Il futuro è per molti una fonte di ansia: sia in campo lavorativo (crisi economiche) che affettivo (la stabilità di una famiglia o dei figli). Nella nostra modernità sembra diminuito lo spazio di ciò che non controlliamo (abbiamo medicine e facciamo previsioni), ma si è alzata la soglia di ciò che riusciamo a sopportare senza poter controllare. In una società agricola tutto infondo è un affidarsi: deve esserci il tempo giusto e le piogge giuste per permettere un buon raccolto… in una società tecnica invece al centro non c’è il controllo umano. Tuttavia, non dipendere da un ignoto è una pura illusione.

Ho sempre pensato che a questa paura difficilmente possiamo porre rimedio da soli, perché spesso è qualcosa di involontario e incontrollato. Tuttavia, credo anche -come dice Paolo- che le fede abbia a che fare in modo particolare con questo: con il come vediamo il futuro e come viviamo questa precarietà. Esiste oppure no una provvidenza sulla quale possiamo contare? Esiste oppure no, una cura di Dio che non abbandona chi ama?

Questa è un po’ tutta la domanda della vita, ma esse emerge poderosa in contatto con l’incertezza del futuro. È un po’ come avere due possibilità: da un lato la risposta che dava lo storico Barbero alla domanda su cosa vede in futuro. Barbero rispondeva: “noi storici non siamo buoni ad azzeccare cosa succederà, ma se c’è una cosa che ci ha insegnato la storia è che riserva sempre delle sorprese quasi sempre non belle”. Da una parte questo: quando accade qualcosa di imprevisto è sempre qualcosa di non bello… Dall’altra parte un pensiero opposto: “pur nelle tragedie e incertezza della vita so vedere una cura di Dio per me”.  

Forse è quello che dice S. Paolo nella seconda lettura: “la fede è il fondamento delle cose che si sperano.” Ovvero c’è una speranza che per non essere una illusione deve alimentarsi alla fede, è solo la fede che ti permette di sperare in modo fondato.

Su questo tema mi pare che il Vangelo contenga una affermazione tutt’altro che banale: è il cammino della sequela che genera quella fede e quello sguardo che ci permette di avere speranza in modo fondato, che ci permette anche di lasciare delle false sicurezze. Però, tale cammino va in qualche modo purificato perché contiene tre possibili ostacoli, tre possibili attaccamenti a false sicurezze.

Il primo è quella dell’uomo ingenuo che confonde la speranza e la fiducia con un semplice sentimento del momento, senza però avere radici: “ti seguirò ovunque tu vada”. È uno slancio positivo ma è come il seme che non ha messo radici e che in fretta germoglia ma al primo caldo subito appassisce. È un po’ lo slancio di Pietro: “non ti tradirò mai” e Gesù: “prima che il Gallo canti lo farai tre volte”. Bisogna pure abbandonare questa ingenuità per incamminarsi con Gesù.

Un secondo ostacolo alla fede-fiducia è invece dato dalla legge: c’è un attaccamento alle sicurezze proveniente dalla ripetizione di uno schema di comportamento che ti fa fare tante cose (anche buone, come seppellire i morti) ma dove in esse non c’è il cuore, c’è solo l’obbedienza a una legge e a uno forma. Manca la cosa più importante: tornare a rischiare per la fede, metterci qualcosa di proprio, che è l’indice del fatto che c’è il tuo cuore.

Un terzo ostacolo è quello che chiede solo un “permetti però prima”. Sappiamo tutti come va a finire: è come quando diciamo che troveremo 5 minuti per pregare però prima devo finire questo e quest’altro… e le cose in realtà non finiscono mai.

Poi sperimentiamo che arriva qualcosa di imprevisto e tutti i nostri “prima” e i nostri “altro” (compresa la nostra ingenuità) saltano e non contano più nulla. Allora dobbiamo imparare uno sguardo diverso per stare dentro le vita senza paura e forse allora cominciamo davvero la sequela di Gesù.