V domenica dopo Pentecoste

Gen 18,1-2a.16-33; Sal 27; Rm 4,16-25; Lc 13,23-29

“Abramo credette, saldo nella speranza contro ogni speranza (spes contra spem)”.
Richiamo queste parole perché mi sembrano molto attuali. Se penso a molti discorsi che gli adulti fanno ai ragazzi, se penso a come vediamo il futuro dei nostri figli o il nostro –anche da parte di persone molto cattoliche– non posso non constatare un forte pessimismo che mi fa domandare se siamo ancora credenti e in che cosa crediamo davvero.
Ci sono e ci si sono sempre stati profeti di sventure. Per dirvi come i profeti di sventura abbiano sempre fatto parte del mondo vi leggo queste citazioni:

“Non c’è più alcuna speranza
per l’avvenire del nostro paese
se la gioventù di oggi prenderà il potere domani,
poiché questa gioventù è insopportabile,
senza ritegno, terribile”

Sembra tratto dal Corriere dalla Sera invece è di ESIODO 720 a.C.

“Questa gioventù è persa nel profondo del cuore.
I giovani sono maligni e pigri,
non saranno mai come la gioventù di una volta;
quelli di oggi non saranno capaci
di mantenere la nostra cultura”

Sembra una tipica osservazione ti tanti professori di scuola invece è una INCISIONE SU VASO DI ARGILLA DI BABILONIA DEL 3000 a.C.

Voglio qui tralasciare di esporre i danni che questo “profetismo di sventura” provoca sui giovani e sui nostri ragazzi. Sono sotto gli occhi di tutti e se ci lamentiamo che i “giovani” non hanno voglia di fare nulla dobbiamo tornare a domandarci quale speranza gli stiamo insegnando.
Vorrei invece spendere una parola sulla speranza cristiana, perché c’è speranza e speranza dice Paolo.
L’uomo di oggi alterna molto facilmente due sentimenti opposti: da una parte un ottimismo tecnico scientifico (la scienza, la medicina e il progresso) e dall’altra il più totale pessimismo sul futuro. Tutto è su questa altalena dei sentimenti.
In questo senso, noi citiamo la speranza come se fosse il sentimento dell’ultimo momento, quello opposto al pessimismo che insorge dentro di noi davanti a tanti fatti che vediamo, come se fosse quella cosa che diciamo quando non c’è più nulla da dire, come l’irresponsabilità di chi attende un miracolo, perché ormai non si attende più nulla, quasi come una magra consolazione. Infatti diciamo “la speranza è l’ultima a morire”, ma constatiamo che è falso! La speranza così intesa (come magra consolazione) è la prima che muore e muore non appena finisce il sentimento, non appena riappare la realtà.

Questo sentimento non è la speranza cristiana. La speranza cristiana è altra cosa e lotta (come dice Paolo) contro questo bipolarismo dell’uomo moderno: combatte sia il finto sentimento irresponsabile sia i profeti di sventura.
La speranza cristiana è una virtù teologale, per la teologia cattolica. Essa è opera della liberà, è porta stratta del Vangelo, è cammino sul quale ci si mette e si deve essere educati. Bisogna educare alla speranza cristiana! Non è un sentimento spontaneo dal quale farsi travolgere, per poi accorgersi che scompare. Bisogna insegnare a sperare.

La speranza cristiana si impara solo vivendo il Vangelo, facendo l’esperienza del Regno (o della “Signoria di Dio”, che il “Signore c’è nella mia vita”) e scoprendo o riscoprendo ogni giorno quello per cui la vita vale la pena di essere vissuta, ovvero quello che Luca chiama “la giustizia”. La giustizia non è soltanto il fare la carità, ma la vita giusta è la vita di chi ha qualcosa per cui vale la pena di vivere e morire, la vita giusta è la vita che ha senso. E il senso della nostra vita non è l’opulenza nella quale siamo vissuti e che vediamo scomparire. Il senso della nostra vita è visibile solo nel rapporto stretto con Dio. Lui ci insegna –contro ogni tecnicismo e storicismo della vita– il modo dell’impegno cristiano (le beatitudini) e al tempo stesso che la nostra vita non sarà mai riducibile alla semplice causa-effetto. Non possiamo ridurre la vita alla conseguenza delle nostre buone/cattive azioni o alla fortuna/sfortuna che ci sfiora. La fede in Gesù Cristo conosce un altro modo, ben più umano, per saper vivere la vita piena di una speranza “certa”, oltre la schizofrenia moderna. Come dice S. Agostino:
La nostra speranza è così certa che è come se già fosse divenuta realtà.