V Domenica di Quaresima

Dt 6,4a.20-25; Sal 104; Ef 5,15-20; Gv 11,1-53

Possiamo continuare la riflessione di domenica scorsa sull’incredulità degli uomini come chiave di lettura anche di questo Vangelo.

Osserviamo anzitutto che la scena si concentra prima e dopo questo miracolo. Il miracolo non contiene una lunga descrizione, ma solo poche righe. Non si dicono i particolari di questo evento che per noi sarebbe stato più interessante per capire il miracolo in sé.
Invece anche in questo Vangelo la descrizione si sviluppa sopratutto prima, ed è come se le posizioni tra chi crede e chi non crede si assestino prima del miracolo stesso.

Cosa accade prima? Prima accade, qui il vangelo si ferma un poco, che Gesù pianga. Ma nel testo non c’è scritto che piange solamente, ma che si turbò profondamente e pianse. Nel testo originale c’è una cosa difficile da rendere in italiano: c’è quell’essere turbato di Gesù al Getzemani, poco prima della sua cattura — che deve essere stata la capacità di un’uomo di guardare la sua morte senza essere inghiottiti dalla fine — ma c’è anche un essere arrabbiato, un essere irritato che è difficile da spiegare.

C’è dunque qualcosa che fa piangere e insieme arrabbiare Gesù. Io penso non sia solo la morte. Piace molto alla nostra società fatta di emozioni un Gesù che si emoziona perché è di fronte a una scena da funerale. Ma per me è un po’ debole questa lettura: se fosse stata solo la morte di Lazzaro avrebbe pianto prima, all’annuncio di ciò che era accaduto. O avrebbe pianto davanti al sepolcro. Mentre Giovanni sottolinea che Gesù è turbato e si irrita quando vede Maria e i Giudei piangere. E piange non al sepolcro, ma prima di andarci.

Finito questo pianto qualcuno dice: “vedi come lo amava” e qualcun altro dice “non poteva tenerlo in vita?”.
Eccoci di nuovo al punto cruciale di tutto il Vangelo, quello che appunto fa arrabbiare Gesù — lo scandalizza –ed è il fatto che anche di fronte a lui, anche di fronte a un gesto di amore gratuito, anche di fronte alla cosa più bella che ci accade nella vita, nasca dentro di noi il sospetto.

E’ il fraintendimento del Vangelo: il caso serio e più duro da sopportare che ci racconta il Vangelo, anche per noi oggi. Quante volte abbiamo fatto un gesto di cura e di affetto il meno ambiguo possibile, il più gratuito che potevamo e abbiamo visto che è stato frainteso, che è stato letto come un condizionamento, come una mancanza di qualcosa? Il sospetto (nostro o di altri) lo ha già frainteso.

Il sospetto è quello che ci ha insegnato il Serpente nel Giardino: il sospetto su Dio.
E’ il sospetto che la parrocchia che abbiamo, che l’amico che abbiamo, che il parroco che abbiamo, in fondo potevano essere meglio, e che Dio -in fondo- abbia qualcosa da parte che si tiene per sé (fosse anche la sua onnipotenza). E’ questo lo sguardo dei Giudei (ma anche dei Dodici) che Gesù si ostinano a non capire.

Per sconfiggere questo originario sospetto è necessario trovare in Gesù (nel Gesù storico di questi racconti) quello sguardo, quel pensiero, quell’affetto che davvero nella vita non abbiamo trovato in nessun altro uomo. Quella gratuità la leggiamo in quella storia come non c’è stata in nessun altro racconto. E allora ci accorgiamo che davvero la nostra gratuità più sincera non è che un riflesso della sua.
Il grande scrittore Dostoevskij, affascinato da questo volto, volle provare a riscrivere la vita di un uomo che avesse la stessa gratuità di questo che muore per i suoi amici — così scrisse l’Idiota.

Per dirlo con uno slogan che è il titolo di un libro bellissimo: “solo l’amore è credibile”. Non è una frase sdolcinata che incita al generico volersi bene. Al contrario raccoglie la nostra originaria sfiducia, il nostro sospetto (come l’abbiamo chiamato) che è la cosa dura nella vita: credere che quel gesto di Cristo, che il nostro spezzare il pane, che la nostra “vita comune”, non abbia più da aspettare nulla, non manchi di nulla. Che svanisca in noi il sospetto di attenda ancora qualcosa che ci permetta finalmente di credere.

E invece, come in questo Vangelo, prima del miracolo, c’è tutto quello che serve per credere.