V Domenica di Pasqua

At 7,2-8.11-12a.17.20-22.30-34.36-42a.44-48a.51-54; Sal 117; 1Cor 2,6-12; Gv 17,1b-11

Il Vangelo di oggi è una delle pagine più belle di tutto il Vangelo e uno dei pochi testi (non ne abbiamo così tanti) dove possiamo capire lo stile e le parole della preghiera di Gesù.
Siamo durante la cena di addio e Gesù passa da un lungo discorso ai discepoli a un discorso diretto con Dio.
C’è una confidenza con Dio (Padre) che penso non possa non colpirci. Se siamo onesti: chi di noi ha questo coraggio di rivolgersi a Dio nei momenti della sua vita in questa perfetta confidenza, come parlasse all’amico più caro che ha. Già questo più farci interrogare sul nostro stile della preghiera.

Vorrei fermarmi su due espressione che usa Gesù.

1) “glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te”.

Cosa significa questo glorificare che dice Gesù e che sa essere reciproco?
Immediatamente per noi la gloria è una parola che indica una cosa esteriore. E’ un successo, una riuscita, una immagine bella. Nulla di più lontano dal senso di questa gloria.
Nel linguaggio di chi scrive “gloria” si dice “kavod” che significa il “peso”, in senso positivo. Meglio, “gloria” significa il “peso” di una cosa che c’è, di una presenza (“shekinà” altra parola importante).
La “gloria” è il peso di una presenza. Glorificare allora è un termine più vicino a “dare peso”, “dare importanza”, “riempire di una presenza” che da importanza.

Quanto è significativa allora questa espressione di Gesù. Io ho proprio impressione che dobbiamo imparare a “glorificare” per essere “glorificati”, nel senso di imparare a dare peso alle cose per riceverne sostanza. Dare peso alla vita. Si passa una vacanza insieme in montagna, si passano ore a cena con i ragazzi… e hai sempre l’impressione che non si è colto il peso di quello che si è fatto perché sembra che non rimanga mai nulla nella nostra coscienza. E’ il male del nostro relativismo. Mi diceva una ragazza: “don, è proprio vero, per le mie compagne di università tutto in fondo è uguale purché ci si diverta. Cosa manca? il peso di qualcosa che rimane nella mia anima.”

2) La seconda espressione che vogliamo commentare è che questa frase è legata a un’altra: la vita eterna.

“Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.”

La gloria (il peso) è legata a una vita eterna che è un conoscere. Cosa è questa vita eterna? Sarebbe meglio tradurre la “vita vera” che poi è anche eterna. Ma qui si parla di “vita vera”, “vita autentica”. Potremmo anche dire “vita felice”, ma questa “felicità” è oggi un vocabolo troppo ambiguo.
C’è una bella e famosa espressione di Henry David Thoreau nel libro “la vita nei boschi”, citata nel film “l’attimo fuggente” che dice:

…vivere con profondità e succhiare tutto il midollo della vita, per sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.

Accorgersi di non essere vissuti è come non avere mai avuto nulla che sia stato abbastanza solido e pensante nella vita.
Il Vangelo dice che c’è un modo di vivere che è “vita vera” (e glorifica) e c’è un modo che è “non vita” perché non ha peso e non rimane.
La “vita vera” si apprende solo dal modo di vivere di Gesù, per questo lui dice che noi siamo suoi. Nella Chiesa si cerca questo. La vita vera è “non dire mai: mio”, come dice S. Agostino in una lettera. E’ la sfida che c’è una comunione, una condivisione della vita, che anche se è imperfetta non è un pio ideale.
Non mi pare che oggi, nella nostra società così individualistica, si stia tanto meglio e si possa vantare di vivere una vita più vera. Ma è vita davvero quella di chi ha bisogno sempre di esperienze forti per sentirsi in vita e perché in realtà non coglie mai il peso di ciò che vive.
Una ragazza in settimana mi diceva, “però don è vero, sbagliamo tutti e sbagliate anche voi di Chiesa, però in questa serata trascorsa tra noi ho colto un clima diverso rispetto a tutte le sere in al bar, perché si vede che ci credete a una vita condivisa”. Ecco, questo è “conoscere il Figlio, l’essere di Gesù”, per il quale ognuno deve pregare l’uno per l’altro.