V domenica di Avvento

Is 30,18-26b; Sal 145; 2Cor 4,1-6; Gv 3,23-32a

Penso che un tema comune a queste letture sia quello dell’idolo. La prima lettura ne parla esplicitamente: è tempo di buttare via gli idoli. Ne parla Paolo quando dice: “noi non annunciamo noi stessi, ma il Vangelo che abbiamo ricevuto”, come dire: non trasformate me in un idolo. E così fa anche Giovanni: “io devo diminuire e Lui crescere” e così sembra dire anche ai suoi: non divinizzatemi.

Il tema dell’idolo sembra a volte essere quello di qualche statuetta dorata, o cose del genere che non ci riguardano più. Per me non è così: sempre tutti gli uomini, ricchi o poveri, credenti o non credenti, colti o ignoranti, non smettono un istante di farsi idoli. Diceva Dostoevskij “il bisogno comune dell’adorazione è il più grande tormento di ogni singolo, come dell’intera umanità, fin dal principio dei secoli”. E il filoso Nietzsche: “vi sono più idoli che realtà”.

Penso che un idolo si caratterizzi da questo: l’idolo, in quanto adorato, è ciò che occupa tutta la scena del desiderio; meglio è colui che trasforma la logica del desiderio nella logica del bisogno. La logica del desiderio è quella che ci fa percepire sempre una mancanza strutturale, è un anelito o una inquietudine che ci caratterizza come uomini, non è l’assenza di qualcosa di specifico ma “la percezione di una assenza” senza sapere di cosa realmente manchiamo. Il bisogno è invece un desiderio determinato: manco “di un affetto”, di “un sorriso”, di “una parola buona per me”…
L’idolo fa questo: cerca di risolvere il desiderio (l’anelito) in un determinato bisogno. Proprio per questo esso deve occupare tutta la scena dell’umano: deve far percepire che quel desiderio è “davvero la questione importante e vitale”. Avviene per l’idolo quello che avviene per le piccole liti domestiche: per un “calzino fuori posto” si scatenano le scenate peggiori, perché “quel calzino” è diventato il sostegno di ben altre mancanze.

Io penso che il campo maggiore dell’idolo non sia quello del denaro o del lavoro o del sesso (anche se esistono anche questi). Questi sono idoli che facilmente presto deludono, sono idoli in grado di durare poco. Possono rovinare tanto nella vita, ma è facile accorgersi che sono degli idoli. Non è difficile capire che vivere per il sesso o per il denaro è da poveri uomini. E poi tra noi chi davvero è così ricco o così…?
Il campo più pericoloso dell’idolo è invece per me quello degli affetti. Questo è più pericoloso perché confonde qualcosa di molto più vitale. Parlo ora di due tipi di idoli affettivi.

Negli adulti penso all’idolo dei figli o dei nipoti. Genitori schiavi di questi affetti, incapaci di dire dei “no” perché segreti adoratori dei propri figli. Quando questi affetti diventano così forti da occupare tutta la scena della vita, si dice infatti che “si vive per i figli”, crescono spesso figli che pagano un prezzo enorme a questa loro segreta divinizzazione. Sono spesso ragazzi infelici e narcisisti. Penso che molte relazioni famigliari siano oggi rovinate da questo. Un genitore che ha Dio al di sopra dei figli fa un gran bene ai figli stessi perché certamente eviterà di divinizzarli.

Nei ragazzi penso invece all’idolo che trasforma il proprio amante (o anche il proprio amico) nel tutto della propria vita. Si desidera l’altro come si desiderasse Dio stesso. Chi non ha un amante o un amico allora si rifugia in altro: la palestra, l’università, il successo… Ma prendiamo il caso degli amanti: lui è per lei il centro della vita. E’ difficilissimo dire qualcosa a queste coppie, far notare magari qualche limite giovanile, la necessità di un tempo di prova… no! per loro il desiderio per l’altro è perfettamente giusto e ogni gesto pare ad entrambi come manifestazione di una bontà evidente. Segno di questa idolatria è il fatto che di solito ci rimettono tutte le altre relazioni: ne va della scuola, degli amici, della famiglia… “Due cuori, una capanna” si dice, facendo trasparire il fatto che tutta la grandezza del mondo si già ridotto alla miseria dei due.

Notiamo: affidarsi al pensiero o al fantasma del proprio idolo è sempre riposante. Diciamolo senza vergona: l’idolo è irrimediabilmente bello. Ci fa sentire appagati, toglie l’inquietudine, pretende di mettere fine ad ogni solitudine. L’idolo è davvero sempre riposante. Non si è più costretti a fare i conti con quella “presenza di una assenza”, con quella “mancanza inquieta”, con quel nostro “non essere tutto” perché l’attenzione è focalizzata su ciò che si adora. La mente è finalmente riempita da uno scopo fusionale. Tutti noi lo abbiamo prova e sappiamo bene quanto sia appagante l’idolo.

Tuttavia, all’adorazione dell’idolo segue sempre (e non per punizione di Dio) una delusione. Semplicemente perché lui non è Dio o, più profondamente, perché il tuo desiderio e la tua mancanza non sono mai convertibili in un semplice bisogno. E quanto ti cullava con un incanto ora ti stordisce con una delusione. Allora, nella rabbia che prostra l’anima in quei momenti (chi non l’ha provata?), ecco che la delusione porta molti a gridare “mai più!”. “Mai più” l’azzardo di questa unione, “mai più” la dolcezza che pareva buona, “mai più” fidarsi di qualcuno… Almeno fin tanto che un nuovo idolo si erga ad essere nuovamente adorato. Ma non è forse oggi la storia di tante donne e uomini nel campo affettivo?

Il Vangelo ha certamente un buona notizia per questo, esso contiene una profonda promessa di liberazione. Dio non vuole degli adoratori ma veri interlocutori (Adamo non passeggiava faccia faccia ogni sera con il Signore?). E per quanto noi ci lasciamo incantare, o ci rifugiamo in oasi di riposo, ogni volta da capo qualcuno torna a riprenderci e a insegnarci la dignità dei figli, la nostra dignità inalienabile, che per quanto adoratori non è mai consumata del tutto. Se ritroviamo questo, la fatica del vivere avrà un diverso peso e forse anche la nostra ricerca di oasi idolatriche.