Solennità di Cristo Re

Letture

LETTURA Is 49, 1-7
Lettura del profeta Isaia

Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». Io ho risposto: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio». Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra». Così dice il Signore, il redentore d’Israele, il suo Santo, a colui che è disprezzato, rifiutato dalle nazioni, schiavo dei potenti: «I re vedranno e si alzeranno in piedi, i prìncipi si prostreranno, a causa del Signore che è fedele, del Santo d’Israele che ti ha scelto».

SALMO Sal 21 (22)

Dal legno della croce regna il Signore.

Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
perché egli non ha disprezzato
né disdegnato l’afflizione del povero,
il proprio volto non gli ha nascosto
ma ha ascoltato il suo grido di aiuto. R

Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli.
Perché del Signore è il regno:
è lui che domina sui popoli! R

Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!». R

EPISTOLA Fil 2, 5-11
Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi

Fratelli, abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

VANGELO Lc 23, 36-43
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo. Anche i soldati deridevano il Signore Gesù, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

La festa di oggi è stata istituita da Pio XI nel 1925 per reagire agli eccessi del laicismo moderno che voleva creare una società “senza Dio” o, meglio, dove “Dio” fosse un’idea superflua e non necessaria alla vita. Contro questa “non necessità” di Dio, la Chiesa contrappose la “Regalità di Dio”.
Vorrei fare due osservazioni su questo tema e mettere in luce anche un limite di questa impostazione.

1) La scena dei due ladroni che si rivolgono a Gesù “re dei giudei” (come recita la scritta sulla sua testa), mi ricorda che –pure nell’ultimo momento della nostra vita — a qualcosa o a qualcuno ci dobbiamo rivolgere. Qualcuno è a noi necessario per consolare la nostra esistenza. Nessuno può non cercare un aiuto, nessuno può rimanere indifferente davanti al calare del sole…. De Andrè, commentando questa scena di Vangelo e mettendosi nei panni di un ladrone che implora contro Dio, alla fine tuttavia scriveva:
Ma adesso che viene la sera ed il buio
Mi toglie il dolore dagli occhi
E scivola il sole al di là delle dune
A violentare altre notti

Come dire: nonostante tutto, nel momento finale della mia vita, ogni rancore viene meno e cerco quel Dio che ho tanto rifiutato. La questione non è quindi se rivolgerci a Dio o meno, la questione è “a chi ci rivolgiamo”? In cosa riponiamo la nostra speranza? Nei momenti di buoi o ultimi, come ugualmente nella quotidianità della nostra vita, chi consideriamo “Re”?
La questione della regalità di Dio non è tanto “se di Dio” si può fare a meno, ma “a quale divinità” decidiamo di piegare le nostre ginocchia. Come diceva Dostoevskij, nella vita umana non c’è possibilità di rispondere “nessuno”, “nessuno è per me Re”.

2) La regalità di Dio significa anche vedere come Dio sia più grande di noi, come sia lui, e non noi, il padrone della storia. Oggi, tante questioni ci richiamano a questo: basti pensare alla stoltezza con la quale l’uomo ha gestito il creato sentendosene padrone. Eppure, questo “più grande” significa, per noi, non tanto “più potente”, ma fatto di quella potenza e attrattiva che si legge nella pagina di vangelo di oggi. Un innocente che muore proteggendo i suoi amici e che dice: “sarai con me in paradiso”. C’è una “potenza”, una “forza” o un “fascino” che è completamente diversa dal potere degli uomini. Di questa natura è la forza di Dio. Sarebbe quindi stolto cercarlo altrove: cercarlo in una forza che risolva i miei problemi o sistemi le mie storture diversamente dal modo di Gesù.

Il limite che vedo. Con la secolarizzazione la Chiesa si è preoccupata che la società mettesse da parte Dio. In realtà, la società ci è riuscita benissimo. Oggi i nostri ragazzi crescono e vivono benissimo “apparentemente” anche senza bisogno di Dio. Ma c’è qualcosa di più grave che nel frattempo è stato messo in atto: non è stato messo da parte solo “il Re”, ma “il regno”. Questo è il problema vero. Ovvero, è stato reso inutile il senso di appartenenza e di comunità. Questa è la mancanza più grande che rende ogni proclamazione di Dio una parola incerta: non tanto perché non si veda più Dio, quanto perché non ci si riconosce come comunità.