Santa Famiglia di Gesù

Lc 2,41-52

Il racconto del ritrovamento di Gesù al tempio, come tutti gli episodi dei vangeli dell’infanzia, nasconde una lettura più profonda della semplice narrazione di un episodio biografico. In esso troviamo, quasi in filigrana, un’anticipazione simbolica della morte e risurrezione del Signore. Tutti gli elementi del testo portano a evidenziare questo contenuto come l’unico dato rilevante della narrazione. L’incipit del racconto già inserisce l’episodio durante la festività della Pasqua ebraica; per tre giorni Gesù non viene trovato, come per tre giorni rimarrà nel sepolcro prima di essere ritrovato dai suoi; come le donne al sepolcro, i genitori lo cercano angosciati senza trovarlo; come al sepolcro due uomini sfolgoranti pongono la domanda “perché cercate tra i morti colui che è vivo” (Lc 24,5), così appare la risposta di Gesù alla domanda stupita di Maria in questo Vangelo (“non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio”).
In altre parole, quello che interessa a Luca, non è tanto l’episodio folcloristico di questo ritrovamento ma la logica nuova della morte-risurrezione che già compare all’inizio del Vangelo. Come nei quadri dei pittori dove il corallo rosso al collo del bambino Gesù ricordava la sua morte, come nella passione di Bach secondo Matteo che riprende lo stesso motivo del corale della nascita, come nel vangelo di Marco l’annuncio della passione scandisce ogni tappa del cammino con i discepoli… così anche qui il tema è quello di un annuncio del senso della vita di Cristo: la logica nuova della sua morte e risurrezione. Dirà Gesù ai discepoli di Emmaus, sempre nel Vangelo di Luca, non capirete me e non mi ritroverete non: “se non credete a quello che vi dicono le donne che mi hanno visto risorto”, ma “se non comprendete il motivo della mia morte, la logica nuova del mistero della morte e risurrezione”.
In altre parole, Cristo chiede di affrontare il dramma di poter essere perso, cercato affannosamente, prima di poterlo ritrovare a un livello nuovo. E’ la logica del seme che deve morire per dare frutto, del dare la vita per ritrovarla. E’ una logica che scalfisce il nostro rapporto spontaneo con gli altri e con le cose perché noi preferiamo trattenere che rinunciare. E’ la logica della manna donata da Dio che non puoi accumulare, ma per la quale devi affrontare il rischio di non averla anche domani.
Così è anche la nostra logica che affronta la vita? Pensiamo di poter affrontare una crisi sapendo che non sarà il tutto e che potrebbe nascondere un seme, un germe, un incontro diverso con la realtà? Oppure dalla crisi solamente vogliamo fuggire? Consideriamo ogni mancanza solamente una perdita e una ingiusta privazione? E se accadesse come accade nell’inverno dove la neve custodisce quei semi che spunteranno solo dopo una lunga incubazione? Scriveva Kierkegaard per parlare di questo passaggio: “quando il bimbo dev’esser svezzato, la madre si tinge di nero il seno, perché sarebbe cosa crudele che esso restasse desiderabile quando il bambino non deve più trarne nutrimento. Così il bambino crede che sua madre è mutata, ma la madre è sempre la stessa ed il suo sguardo è sempre pieno di tenerezza e di amore.”
Se possediamo tutto, se cerchiamo di trattenere tutto, se vogliamo essere tutto, davvero moriamo. Uccidiamo i figli quando li facciamo di proprietà nostra –oggi tutti i sociologi moderni ce lo ricordano. Uccidiamo chi amiamo se lo tratteniamo solo presso di noi e non patiamo mai la sua mancanza o il rischio di perderlo. Ho conosciuto un medico che è diventato antiabortista dopo che da una madre, alla quale aveva mostrato il feto sano ma con un dito mancante, si è sentito rispondere: “il figlio è mio e decido io”. No, il figlio ti è dato, la vita ti è data… e ti è data perché tu sappia non trattenerla. Questa è la logica pasquale. Ce lo dice anche il respiro con il quale viviamo: ci sono due movimenti che ci fanno vivere e uno di questi implica una perdita, uno svuotamento.
Dicevano i padri della chiesa con un’immagine che parlava delle crisi che affrontavano le comunità nei primi secoli: hai visto la luna? Essa risplende la luce del sole in una fase calante, crescente e splendente. Il sole per loro era Cristo e la luna la chiesa. Così dunque anche la chiesa riflette la luce di Cristo con la logica del mistero pasquale, dicevano.
Ma noi crediamo ancora nella fecondità di questo smarrimento, di questa ricerca che ci chiede di abbandonare le piccole sicurezze del mondo sulle quali pensiamo di poter affidare la quotidianità della vita?