S. Natale

Il motivo di questa festa non è ricordare un fatto passato, ma qualcosa che accede ancora oggi. La nascita di un uomo, in una provincia della Palestina di duemila anni fa, non sarebbe un motivo di festa se quest’uomo non avesse a che fare con la nostra vita. La vera domanda è quindi: dove nasce Dio quest’anno? Dove trovo Dio ora?

È giusto porsi questa domanda a diciott’anni, quando si deve decidere sulla fede, ma poi anche a venticinque, trenta, quaranta, cinquanta… quando apparentemente si è già deciso. Perché non accada, come dice uno scrittore famoso, che “Lui ci passi accanto e noi non ce ne accorgiamo”.
La domanda “dove sei Dio nella mia vita?” non ha per me possibilità di risposta senza Cristo. È Cristo che mi permette di dire: “so che Tu sei qui” e di dare senso e significato a questo “Tu”. È Cristo che mi permette di cercarlo. Una ricerca che altrimenti non arriverebbe a nulla, perché di fatto, altrimenti, ancora nulla noi sappremmo su Dio.

Il primo senso di questo “Tu” che scopriamo da discepoli di Cristo è che esso è un “Dio con noi”, un “Emmanuele”. Cristo nasce “con noi”. Non dobbiamo perciò aspettarci chissà quale visione, ma dobbiamo guardare alla nostra umanità. Dio è nell’umanità. Il “Dio con noi” è incontrabile nella nostra umanità e in quella degli atri. Non dobbiamo alzare gli occhi verso le nuvole, ma dobbiamo guardare a noi stessi e agli altri uomini. Nelle passioni, negli affetti, nelle opere, nei pensieri, nei desideri, nelle domande… in tutto questo “groviglio” di umanità che siamo, è qui che nasce Dio.

Faccio un esempio, dove credo i discepoli di Cristo possano dire che lì “nasce Gesù”. La pandemia ci ha molto chiusi in noi stessi e molti, in questa chiusura o isolamento, alla lunga si sono trovati anche bene e si domandano “perché fare la fatica di prima”. Qualcuno oggi parla di Great Resignation (Grandi dimissioni), ovvero di come molti preferiscano cambiare vita, talvolta anche fuggire dalla propria vita pre-covid, e cercare qualcosa di nuovo. In questo momento così strano dove “nasce Cristo”? Non credo che esso sia semplicemente nel pensiero di una “ostinata resistenza”, ma nel pensiero di una “ostinata resistenza al bene”. Nonostante il fascino di una vita “solo per me”, ritirato dal mondo, sento che sono chiamato a qualcosa di buono, a non “abbandonare del tutto il campo”, a non starmene da solo “nel mio brodo”.
Un altro esempio: ci sono persone che avrebbero tutte le ragioni del mondo per “mandare a quel paese” una determinata persona (un partner, un figlio o un parente), eppure, talvolta, esse provano ugualmente un affetto, un’empatia profonda in grado di vincere ogni buona ragione. Quando questa empatia è buona, ovvero quando essa ci spinge fuori dal nostro guscio e a occuparci di altri in modo buono, credo sia il luogo dove nasce Dio.
In altre parole: quando “nonostante tutto” un affetto mi rende vicino agli altri, lì Dio si fa vicino alla mia umanità. Dove io mi faccio vicino agli altri (spesso “nonostante molte fatiche”), lì Dio si fa vicino a me.

La seconda osservazione è che “Gesù non è nato già adulto”. Può sembrare scontato ai nostri occhi dopo duemila anni di cristianesimo ma non è così. Nell’antichità molte divinità nascevano già adulte, comparivano dal nulla, nella perfezione della loro età adulta. Non così Cristo. Cristo non ha vergogna di mostrarsi nel sonno inconsapevole di un bambino. Anzi, quello sguardo ignaro sul mondo può essere molto più vero e autentico di quello di un adulto che crede di sapere tutto e ha perso ogni fascino e ogni mistero.

Ma ciò che è ancora più straordinario è che noi tutti siamo stati come quel bambino ed anzi, forse, è stato il momento nel quale più siamo stati simili a Cristo. Noi tutti, prima ancora di stupirci del meraviglioso sonno che hanno i bambini appena nati, siamo stati noi stessi come quei bimbi che dormono graziosi. E quel bambino che siamo stati lo portiamo dentro per sempre. Quello sguardo sereno –non ancora preoccupato della vita e dei suoi affanni– si trova sempre da qualche parte dentro di noi. Vederlo nel Gesù bambino è come rivederlo dentro di noi, senza averne paura. Come scrive Dino Buzzati nel suo romanzo “Il deserto dei Tartari”: sulla soglia era seduta una donna… e ai suoi piedi dormiva, in una rustica culla, un bambino. Drogo [il protagonista del romanzo] guardò stupito quel sonno meraviglioso, così diverso da quello degli uomini grandi, così delicato e profondo. Non erano ancora nati in quell’essere i torbidi sogni…. Eppure anche lui un giorno aveva dormito come quel bambino, anche lui era stato grazioso e innocente e, forse, un vecchio ufficiale malato si era fermato a guardarlo, con amaro stupore.

È forse proprio il mistero di questa fragilità che ci fa amare il Natale. Una fragilità e una ignoranza, sul mondo e su noi stessi, che sarà sempre simile al sonno di questo bambino. Per questo amiamo il Natale, con i suoi doni e sorrisi e auguri. Perché ci sentiamo troppo fragili per farne a meno. Perché senza l’Altro siamo davvero poca cosa; poco più xhe un ingranaggio con istruizioni poco chiare.