S. Natale

Ci siamo un po’ troppo rassegnati a pensare che tanto non cambia mai niente. Guardiamo alla nostra vita e ci sembra di avere sempre lo stesso carattere, le stesse ansie, gli stessi errori… Nulla ci cambia davvero. Guardiamo al mondo e ci sembra sempre la stessa cosa – talvolta la stessa fregatura, la stessa politica, sempre gli stessi poveri, le stesse ingiustizie… Spesso diciamo a noi stessi: gli uomini non cambiano mai, sempre dediti ai loro interessi, talvolta lupi rapaci e così anche io non cambierò mai. Io penso che questa sia una delle radici della nostra tristezza.

C’è una tristezza che ci portiamo addosso, che molti si portano addosso e che non è dovuta solo a qualche circostanza difficile, ma alberga in profondità dentro di noi. E anche se la mascheriamo –soprattutto in occasione delle feste– essa si vede. Talvolta, proprio durante le feste, proprio quando “bisognerebbe essere felici” accade che molti sono presi dello sconforto e tutti i problemi che negli anni si erano messi un po’ sotto al tappeto (un lutto, una mancanza, un dissidio famigliare…) riemergono più forti di prima. Ma la tristezza e la rassegnazione si vedono anche da come cerchiamo il riposo, come trascorriamo le nostre ferie e il nostro tempo libero: per molti il bello delle feste sta nel “tirare un po’ il fiato”. Poter non pensare per un momento alle mille preoccupazioni della vita. La festa come distrazione dalla vita! Perché la vita è dura e non cambia mai. Sarà sempre così. Eppure, come diceva un vecchio canto di Natale: “quando la festa è finita, rimane la vita e devi pensare di nuovo…”.

Se c’è un augurio vero, se c’è un Natale vero, vorrei che questo Natale scalfisse la mia rassegnazione, quella caparbia tristezza che mi porto dentro e che continua a farmi credere che tanto non si cambia mai e che nulla di nuovo sorge sotto il sole.
Il poeta americano T.S. Eliot, esprimi in pochi versi amari tutta questa rassegnazione: “nascita e copula e morte / tutto qui, tutto qui, tutto qui / nascita copula e morte. E se tiri le somme è tutto qui: nascita copula e morte”.
Molti oggi la pensano così. Ma c’è qualcosa che può sradicare questa rassegnazione? C’è qualcosa che può dirci “non è tutto qui”? C’è qualcuno che può insegnarci di nuovo a credere nei nostri desideri più autentici e forti? Quello che ho capito in questi anni è che “il coraggio non ce lo si dà da soli” come diceva Manzoni. Se esiste qualcosa, non sono io, non è da me. Solo un Dio ci può salvare.

S. Tommaso d’Aquino secoli fa si chiedeva se credere nel Natale era “razionale” o “ragionevole”. È ragionevole credere che Dio si sia fatto uomo? Rispondeva così: se pensiamo a come siamo fatti, alla nostra mediocrità, ci accorgiamo che solo un Dio ci può cambiare. Come questa improvvisa giornate di primavere nell’inverno. Mi ricordano che neanche il tempo dipende da me, ma posso ancora sperare che l’inverno secco e freddo non sia tutto. Sì, perché ci sono giorni, così belli dove è impossibile essere arrabbiati e collerici. Dove è impossibile non sperare.

A Natale accade sempre questo per me: anzitutto sono triste. Non mi vergogno a dirlo: sono triste nel vedere una umanità instupidita e perennemente distratta, distratta dai regali o della cose più inutili, distratta e inconsapevole… mossa da tradizioni di cui ha perso il senso. E sono triste nel pensare anche io non sono poi in fondo da meglio… non sono poi così diverso dagli altri.
Eppure, finita questa Messa, c’è sempre un momento di profonda pace, dove (come per queste giornate di sole) in un attimo mi stupisco davvero che anche quest’anno, nonostante tutto, è Natale e il Signore viene anche per me. C’è un momento dove lo capisco e non importa la mia mediocrità o importa la gente distratta… il Natale non lo faccio io, è il Signore che viene, e viene anche per me.
“E fu il calore di un momento / poi via di nuovo verso il vento” cantava De André descrivendo l’incontro tra l’assassino e il pescatore/Gesù. “Il calore di un momento” l’unico calore vero, l’unico incontro nel quale risiede la radice della nostra speranza. Diceva Montale: “un imprevisto è la sola speranza. Ma mi dicono che è una stoltezza dirselo”. Lo sarà per davvero?