S. Natale

Come è diverso il Natale dei bambini da quello dei grandi. Non c’è nulla da fare: da piccoli sembra tutto molto più bello e festoso. Saranno i regali, le vacanze, le musiche… o sarà che davvero si attende qualcosa che non si conosce ancora del tutto? A volte, ho impressione che gli adulti festeggino il Natale più per i loro figli che per sé stessi; sembrano più contenti di vederli felici che della loro stessa festa. Ma noi grandi cosa festeggiamo davvero? 

Il passare del tempo ci ha caricato di responsabilità, di lavoro, di compiti… fatichiamo a fermarci un momento e a pensare a noi stessi. Sembra vero quel detto di Gesù: “cosa importa all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde sé stesso?” Se perdiamo chi siamo, dove stiamo andando, la consapevolezza della nostra natura, del valore e del peso di ciò che facciamo… se tutto è sepolto dal ripetersi di convenzioni ormai mute e vuote: regali, auguri, cene, discussioni infinite sulla politica, sulla cucina… ma perché, per cosa?

Noi grandi abbiamo vissuto ferite, delusioni, distacchi… e abbiamo anche imparato a tirare avanti davanti a tutto questo. Tutta questa gioia non riesce più ad essere come prima, una fiaba, perché è come velata o macchiata dalla realtà della vita che sappiamo ben più dura. Possiamo fingere, possiamo vivere la festa come una distrazione, possiamo dimenticarci per qualche tempo dei problemi, dello scorrere degli anni… possiamo dire “è nato per noi un Salvatore”, possiamo dirlo… ma talvolta sembra che parliamo come dicessimo una finzione. Ci sono musiche che scaldano il cuore solo per un momento, ma capiamo benissimo non saranno in grado di cambiare la sostanza della vita.

Da piccolo, i miei genitori mi portavano spesso a vedere i musei. Mi ricordo che c’erano molte pale d’altare nei musei e spesso molte Madonne con un Gesù bambino in braccio. Io non capivo perché, in tanti di questi dipinti, c’era una collana di corallo rosso al collo di Gesù. “Gesù con una collana?” – mi chiedevo. Ho poi letto che era il segno della sua futura morte e resurrezione. Gesù bambino ha già i segni della sua morte.

Ora che sono grande e gli anni mi fanno guardare la vita in modo più cinico e freddo, capisco meglio il rosso di quella collana di corallo. Non sono capace di guardare al Natale o alla vita con gli occhi di un bambino, né tanto meno con gli occhi di Dio –mi perdonerete per questo. Sembra rimanga ben poco del desiderio di quando si era piccoli e in generale dei tanti Natali che ogni anno si celebrano. Se però mi fermo, da adulto, da grande, rimane per me solo il senso vero e forte di un grande mistero della vita, illuminato –sì– talvolta dalla lucina di una speranza ineffabile.  

Dentro lo sconcerto di questo mistero che è la vita, c’è come una stellina piccola, come un semino… forse anche ciò che rimane del mio essere bambino. Non è un sole, non è un abbaglio, ma una stellina d’inverno che rianima da lontano di anno in anno questo cammino duro della vita. E sento che di questa stellina anche io, adulto, ne ho bisogno. Lo posso dire senza vergogna che ne ho bisogno, non però come si ha bisogno di una “distrazione”, ma come si vuole una certezza, un appiglio.

Sento che è il bagliore di quello che intravedo di una storia lontana duemila anni, che ancora non ho capito del tutto, eppure luce dura a morire nel corso della storia. Luce che non riusciamo più a togliere –non fino all’ultimo briciolo, almeno– dalla terra del nostro cuore per tutta la tradizione dentro la quale Dio è giunto fino a noi. Paolo diceva “se Cristo non è risorto da morte vana è la nostra fede”. Ecco, la luce di quella stellina, per me adulto, è tutta appesa soltanto alla verità di questa frase, alla mia capacità di viverla e crederla, come una vittoria sulla morte e sulla fatica. Purché non sia soltanto una fiaba o una illusione; altrimenti sì, mi crolla tutto, regali e auguri compresi! Me lo ricorda ogni volta il corallo che porta al collo fin da subito il bambino Gesù.