S. Natale

Siamo qui oggi non solo per ricordarci che Gesù è nato. Perché che Gesù sia nato può essere ancora una cosa che non significa nulla. Che Dio si è fatto uomo può essere una bella frase, ma nulla di più.
Invece, noi siamo qui per qualcosa che ha a che fare con la storia unica di ciascuno di noi. Ovvero, la buona notizia non è solo che Dio si è fatto uomo, ma che Lui è venuto a cercarti. Il punto è la coscienza che Dio è venuto a cercati: non che Dio c’è, che Gesù c’è, ma che, nelle pagine della tua storia, Lui ti cerca e non vuole che tu vada perduto.

Me ne accorgo, anzitutto per il fatto che qualcuno ci ha messo nel cuore il desiderio e la nostalgia di Lui che solo a fatica si può estirpare del tutto. Ma questo desiderio di avere un senso, di avere un destino buono, che la fatica che facciamo per le persone alle quali vogliamo bene non vada perduta… tutto questo chi ce lo ha insegnato fin da bambini? Chi ce lo ha promesso? Chi ce lo ha fatto desiderare? Da sempre Dio è venuto a cercarci, anzitutto insegnandoci la sua nostalgia.

E poi, accade oggi esattamente come accadeva al tempo di Gesù. Lui è andato a cercare Pietro, Paolo, Giacomo, Giovanni e poi anche il centurione, la donna siro-eframita, la sammaritana… (è vero, a volte è dovuto anche scappare, a volte erano i discepoli a mettersi sulle sue tracce perché lui si nascondeva “in un luogo di deserto”, ma questo accadeva sempre perché prima egli si era avvicinato, li aveva provocati, li aveva affascinati, li aveva chiamati). E quando Gesù stesso era ancora in vita e ha iniziato a mandare a predicare i suoi perché le folle erano numerose, allora, fin da subito, il volto di Dio che ti cerca era anche il volto di Pietro, di Giovanni, di Paolo… Così per noi: il volto di Dio che ti cerca ha nomi e storie precise.

Ma tutti quei volti erano sempre lo stesso volto di Dio, lo stesso Gesù bambino, perché avevano lo stesso stile, lo stesso modo di presentarsi: non la prepotenza di un ideale, di una organizzazione, non la violenza di una ideologia o di una moda, ma la fragilità di una relazione affidata alla libertà umana e anche al suo fraintendimento. Questo è il significato di quella pietà popolare che insisteva sulla povertà di Gesù bambino. Come quel soffio leggero, quel “silenzio svuotato”, dove Elia ritrova il Dio che andava fuggendo. Lui che cercava Dio sul monte non lo trovava nel tuono, né nel fuoco, né nel terremoto, ma in quel “silenzio svuotato” così fragile e per nulla “eterno” o “potente”. Allo stesso modo, Dio viene a cercare “i suoi” da una sperduta provincia romana e quante volte, lungo la sua storia, lo vedremo frainteso dagli uomini e anche “dai suoi”. Da allora anche noi lo incontreremo così: in incontri nei quali magari non avremmo scommesso un centesimo.

Ma è sempre lui che ci viene a cercare. E per chi lo incontra, nasce questo sentore, questa sensazione che è anche la certezza che non ci sbagliavamo: quando lo troviamo, era come se lo avessimo conosciuto da sempre, era come ci cercasse e lo cercassimo da sempre. Era quella verità che desideravamo davvero, era quella certezza che speravamo esistesse.
Agostino, un uomo che aveva passato una vita intera senza Dio, quando lo trova dirà: “da sempre tu mi cercavi”, “tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova.”
Dio era da subito nel giardino della nostra vita pronto a dire: “Adamo dove sei?”. Ad ogni età, e per quanto ognuno sia perduto nei suoi affanni, nei suoi lavori, nella sua vita frammentata o dispersa, c’è sempre un angolo in noi dove risuona questa parola della nascita di Dio: Giacomo o Filippo o Andrea o Matteo o Federico… tu dove sei? La parola della nascita di Dio non è più una conoscenza su Dio, non è un sapere delle cose su Dio, ma è parola che chiede conto di te, è una parola sull’uomo e sulla sua verità. È la voce che ricorda: “Adamo dove sei?”, dove ti sei perduto? Dove io e te ci siamo persi?
Anche Pascal, un grande uomo matematico (si dice che avesse trovato i teoremi della clicloide durante una notte sofferta e insonne per il mal di denti) scrisse dopo la sua conversione: “io non ti cercherei se tu non mi avessi già trovato”.

Dio non cerca in generale il mondo, cerca proprio te, cerca i “suoi” direbbe il Vangelo. Lo abbiamo ascoltato nel Prologo: “venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”. È vero, non lo accolgono, ma il testo dice ugualmente “la sua gente”, “i suoi”. I “suoi” non sono quelli che lo hanno trovato, non sono neanche gli uomini religiosi, ma sono quelli che lui cerca. Questo è tutto quello che basta per definirli.
Così aveva detto: “io sono il Signore tuo Dio”. Dov’è la potenza di questa frase? In questo “tuo”, in questo “io sono tuo”. Avrebbe potuto dire “io sono Dio”, invece con questo “tuo” si tradisce, è il suo punto debole. E’ come “i suoi” del prologo di Giovanni. Questo è il fascino della scoperta di questa notte, che Dio ha questo punto debole, per quanto tu ti possa allontanare, lui ha sempre bisogno di te e torna a cercarti, di anno in anno, di Natale in Natale, anche quanto ti sembra che siano tutti uguali e che la magia della vita sia ormai andata perduta, pronti solo a “tirare avanti”. Proprio per questo Lui torna a cercarti e a domandare a te uomo “dove sei?”, “dove ti ho perduto?”