Racconti da Gerusalemme -2

Ieri giornata insolita. Insime a due amici dell’università, Gabriele -italiano- e Dorotea -tedesca, cogliamo l’occasione di un giro per un campo profughi palestinese vicino a Nablus.
Dietro la stazione dei bus arabi, vicino alla porta di Giaffa, arriva in perfetto ritardo palestinese la guida che avevamo contattato. Usciamo da Gerusalemme nord passando il muro ancora in costruzione di separazione dei territori. Dietro al muro, vicino ai controlli, una scritta “lager”. La guida ci mostra le nuove colonie ebree nei territori sul confine. Le case a schiera in stile americano si estendono su una vallata desertica, in un paesaggio di pietre arse dal sole, dove a noi occidentali semprerebbe impossibile vivere. Viaggiamo  per circa mezz’ora tra villaggi palestinesi, dove la povertà e il consumismo occidentale si mischiano in modo strano. Ville con colonne di marmo e finestroni ma non finite e senza intonaca.Sporcizia, mancanza di acqua, macchine rotte e una serie infinita di meccanici. Eppure, anche pubblicità moderne di televisori LC, cellulari, macchine. Automobili vecchissime e fatiscenti di fianco a ultimi modelli. Nessuno soffre la fame, ma la vita si svolge ancora per strada come nei paesi del terzo mondo.

Arriviamo in un campo dove la guida paga un posteggiatore per poter ritrovare la macchina al nostro ritorno. Sotto al posteggio, un po’ nascosto dalla strada, in un caldo opprimente, vediamo un enorme posteggio di taxi gialli, mercatini di frutta, gente che passa. Poi del filo spinato fa da recinto all’ingresso nel campo, e un tornello fa da ingresso alla “città”, al tornello non c’è coda. Invece, tre code infinite di palestinesi per l’uscita, dove ognuno viene controllato al setaccio. In media 3 ore di coda.
Entriamo nella città e dall’altra parte un taxi ci porta davanti al pozzo di Giacobbe, ma non possiamo entrare, è chiusa la chiesa. Davanti, una grande strada. Le scuole palestinesi sono iniziate da qualche giorno e tanti ragazzini girano per le strade con le cartelle e i libri. Ci sono tantissime scuole visto il numero di bambini. L’istruzione è buona, ma oltre ai ragazzi con la divisa della scuola anche molti sbandati di quartire. Sulla strada, mentre aspettiamo il responsabile di un centro sociale umanitario, passano dei camion militari istraeliani a tutta velocità (non potrebbero passare). Immedaitamente i bambini lasciano i loro libri per terra e raccolgono pietre per lanciarle contro i militari. Subito una grossa mamma palestinese vestita di nero che deve aver cresciuto molti figli, energicamente, allargando le braccia, spinge i ragazzini ancora eccitati dentro le vie del campo. Anche noi dopo aver incotrato un’altra guida (meglio: il bos del quartire) visitiamo un campo umanitario con cucina fatiscente (ma di marmo) e palestra (!?). Qui è di maggioranza il capo il partito di Al Fatha, e campeggiano decine di foto di Arafat. Poi ci portano nel salotto di uno dei parlamentari palestinesi appena appena rilasciti da israele che ci parla della sua prigionia. La sua casa è come un salotto mafioso, frequentato dalla gente di quartiere per i suoi problemi. Il racconto della prigionia provoca dentro di me un leggero sorriso, conoscendo le condizioni molto peggiori delle carceri italine. E mi fa sorridere il clima di ospitalità dipicamente mafioso, la gente che entra ed esce nella casa, l’aspetto pascioto di questo parlamentare padrino. Aspettano di tornare nelle “loro” terre, senza nessun’altra prospettiva, senza interessi sul luogo dove ora vivono. L’unico interesse è respingere israele. Il mio velato sorriso, mi si trasforma in smorfia interiore.
Finito il racconto giriamo nelle stradine strettisime del campo: molti ragazzi e bambini passano le loro giornate in strada, ma non sembrano scontenti. Giriamo poi nella città, nel Suk. La vita sembra normale, ma le case sono ricoperte di manifesti con foto di ragazzi con in mano mitra. La guida ci dice “ecco i martiri”. Nella zona dove è scoppiata al seconda intifada ad ogni ancolo c’è un lapide con le scritte dei “martiri”. Io e Gabriele ci chiediamo: “martiri”, oppure “terroristi”?  E’ incredibile come questa parola cristiana possa essere usata per tutto. Vicino a una casa, su una lapide, la scritta in arabo e in inglese: non dimentica e non pordonare.

Al ritorno, sul pulmino, un giovane palestinese greco, ci dice che oggi i giovani israeliani si spostano verso la costa. I giovani sono stufi del conflitto, e sono stufi di chiedersi chi dei due ha ragione. Non vogliono pensarci né vedere e per questo amano le città più moderne e più lontane, dove ci sono le discoteche e i bar come in occidente. Penso sia vero.
Torno a casa con molte domande. Ricordando troppo poco di storia riprendo in mano un libro. Ripercorro le tappe della “indipendenza israeliana”, mi colpisce questa frase del 1947: È stato pertanto relativamente facile concludere che finché entrambi i gruppi mantengono costanti le loro richieste è manifestamente impossibile in queste circostanze soddisfare interamente le richieste di entrambi i gruppi, mentre è indifendibile una scelta che accettasse la totalità delle richieste di un un gruppo a spese dell’altro.

La serata calda mi fa uscire di casa per prendere un po’ d’aria. Nel parco vicino un concerto su un parco con tanto di fuochi d’artificio. Il contrasto con la mattinata è evidente. Di fronte a me un popolo di ragazzi ebrei, laici e religiosi, pieni di sogni di unità e di festa. Capisco ormai molte delle parole retoriche del cantante: tra in pezzo e l’altro parla di israele come i pionieri americani parlavano dell’america, della libertà e degli ideali. Ma tutto questo senza il sogno americano del progresso. Resto ammirato, eppure non risco a fermarmi a lungo. Mi incammino verso la città vecchia. Li’ le vie sono deserte e silenziose. Nel suk cammina solo qualche gatto. Purtroppo il s. Sepolcro è chiuso. Passo davanti alla chiesa luterana, ma è troppo tardi per chiamare Matteo, un mio amico di università che vive lì.
Salgo sui tetti del suk. Mi fermo qualche ora per pensare alla storia di questi ultimi anni, a questi luoghi, ai luoghi dai quali sono scappato, ai leghami nei quali mi sono sottratto. Di fianco alla fatica e ai desideri di tanti israeliani anche i miei. Non solo per me.
Scriveva Isaia

Sulle tue mura, Gerusalemme, io ho posto delle sentinelle;
non taceranno mai, né giorno né notte.
Voi che destate il ricordo del Signore,
non abbiate riposo,
non date riposo a lui,
finché egli non abbia ristabilito Gerusalemme,
finché non abbia fatto di lei la lode di tutta la terra.