Presentazione del Signore

Giotto, presentazione di Gesù al Tempio particolare
Giotto, Presentazione di Gesù al Tempio, particolare

Ml 3,1-4a; Sal 23; Rm 5, 8-12; Lc 2, 22-40

Una prima considerazione non è molto geniale ma pur sempre significativa: si può aspettare una vita prima di arrivare a una certezza e anche il Signore può far pazientare. Questa è la prima considerazione che mi ha sempre colpito a partire dalla barba bianca di Simeone e dalle rughe di Anna. E, se non è possibile indagare il motivo di questa lunga attesa nella vita di alcune persone, o i percorsi tortuosi e travagliati delle loro esistenze, è pur vero che accade per tutto così: la cose più importanti non si misurano mai con brevi quantità di tempo e a questo facciamo fatica ad abituarci. Gli adulti vorrebbero vedere subito i frutti dei loro sforzi educativi nelle vite dei figli e invece talvolta per tanti decenni devono aspettare. I giovani vorrebbero vedere subito i risultati delle loro fatiche scolastiche o lavorative. Gli adolescenti si stupiscono se il fumo che li uccide non procura subito tutti i danni spaventosi che noi grandi gli abbiamo spieghiamo… Davvero esistono dei tempi diversi nella propria vita ai quali dobbiamo abituarci (o affidarci) per poter capire la nostra esistenza.

C’è una bellissima pagina nell’antico testo della “Summa Teologica” di S. Tommaso che dice: avete mai osservato come crescono le piante? Può succedere che passino dei mesi senza che crescano di un centimetro e noi pur continuiamo ogni giorno ad annaffiarle. Poi, accade in una notte che la pianta faccia un salto (che è anche segnato sul suo stelo), quando neanche noi lo sappiamo. Così –dice Tommaso– accade anche nell’uomo. Dobbiamo misurare la fedeltà di Dio sui lunghi tempi della vita, perché sono questi i tempi della nostra crescita vera.

Eppure alla fine di questo tempo, alla fine della sua vita, Simeone raggiunge una certezza: non rimpiange più nulla e se ne va in pace. E’ un traguardo desiderato da tanti: chi alla fine della giornata è in grado di dire, in tutta serenità, ho fatto quello che dovevo e ho vissuto quello che era fondamentale vivere? Chi è capace di non rimpiangere nulla? I ragazzi conoscono questa difficoltà di abbandonarsi al sonno sereni e spesso rimediano al senso di vuoto mettendosi degli auricolari nelle orecchie. Gli adulti possono rassicurarsi nella consolazione di avere nel guanciale vicino una compagna o un compagno che non li lascia soli. Perché quando si dorme e si lascia tutto si rimane inevitabilmente tutti soli tanto che bisogna essere o molto stanchi o molto distratti per farlo con leggerezza.

Una condizione ha attraversato la vita di Simeone perché lui potesse dare il suo congedo da uomo felice, al quale non mancava nulla. Il testo dice che era un uomo che “aspettava la consolazione di Israele”. Questo non significa che semplicemente desiderasse qualcosa, come anche noi desideriamo le nostre cose: la nostra salute, i nostri soldi e le nostre soddisfazioni. No, qui si dice che era un uomo che aspettava la giustizia di Israele. Nutriva un legame con il suo popolo da fargli desiderare per esso quello che non vedeva: una giustizia. In questo senso non era un uomo ricco che aveva già la sua consolazione né desiderava cose per sé, ma sperava per il suo popolo. E’ molto diverso questo. Ognuno di noi desidera per se, ma pochissimo sperano ancora e si danno da fare non per la propria famiglia ma per il proprio quartiere, per i compagni di classe, per i propri colleghi… Ma è questo il desiderio che rende un uomo tale e non un adolescente capriccioso: quello di non chiedere un lavoro migliore per sé, ma di lottare perché il nostro compagno continui ad averlo. Lottare per una consolazione “di Israele”. L’opposto di questo è la rassegnazione alle cose e alle circostanze: la si legge in molti contesti nei quali viviamo. Ieri chiedevo a un professore mio collega una mano per una iniziativa e lui mi guardava dicendo: “si vede che sei giovane e sei qui da poco”. Perché? Perché viveva da rassegnato, ormai da anni. Ma sono rassegnati anche i ragazzini in prima liceo dopo la pagella: se il mio compagno di classe va male sono fatti suoi e a nessuno viene in mente che dipende anche da me.

Solo vivendo così, senza piegarsi alla rassegnazione, si mantenere quel desiderio che ci fa cogliere quell’occasione che ci capiterà nella vita, quel momento che sarà poi la certezza e l’incontro che attendavamo. Altrimenti sarà passato per nulla.
Come diceva il grande scrittore Antoine de Saint-Exupéry in una sua famosa espressione: se vuoi formare un bravo marinaio non devi insegnargli soltanto gli strumenti della barca: il timone, le vele, le scotte, né solamente gli devi far vedere come si costruisce una nave (con la pece, le assi), ma devi insinuargli il desiderio del mare. Il mare con tutti i suoi ideali e il suo infinito. Insomma, devi farne un vero uomo religioso, legato al suo desitino. Solo così coglierà ogni occasione per diventare un bravo navigatore.