Penultima dopo l’Epifania

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Parto da un fatto della vita per poi arrivare al Vangelo di oggi. Questa settimana, con le classi terze del liceo dove insegno, siamo andati a San Patrignano, una comunità di recupero di tossicodipendenti. Una delle realtà più grandi d’Europa, un villaggio con circa mille e duecento uomini e donne che fanno un percorso di almeno tre anni per uscire dalla loro dipendenza da droga. Abbiamo passato una giornata con una decina di loro che erano alla fine del percorso di recupero, guardando le loro attività, pranzando con loro e sopratutto ascoltando le loro storie di vita e facendo domande.

Si tratta di incontri che non toccano solo il tema della droga, ma più in generale si è in contatto con umanità che stanno rifiorendo. Si capisce il Vangelo quando dice: c’è più gioia per un peccatore che si converte che per mille che non hanno bisogno di conversione. L’incontro con quei ragazzi non può non ricordarmi questo vangelo: i gesti di una donna che ha sbagliato molto ma gli viene perdonato. Ed è la prima cosa che ci hanno detto questo ragazzi; non è facile dire davanti agli altri “ho sbagliato molto”, “ho buttato via gli anni migliori”…

Non pensate tuttavia sia qualcosa che riguarda solo i ragazzi di un posto lontano che si chiama San Patrignano. Quanta gente c’è, anche anziana, che fa fuori la pensione o lo stipendio alle macchinette o che passa l’intera giornata la bar (magari dell’oratorio) attaccato a un bicchiere di vino sempre pieno? E quanti di noi hanno figli o sono vicini a persone che vivono lo stesso dramma di questi ragazzi. Oltre al nostro perbenismo di superficie dovremmo sentirci coinvolti con tutti loro e con gli uomini e donne simili a questo vangelo che hanno ben poco di cui vantarsi nella vita.

Due cose mi colpiscono da San Patrignano come da questo Vangelo:

1) La necessità di un rapporto affettivo. Il fariseo ha un rapporto intellettuale con Gesù, vuole studiarlo, capirlo, appare come un uomo freddo e pronto a giudicare… questa donna invece esprime il bisogno di un abbraccio e di un bacio. I ragazzi di San Patrignano, come ciascuno di noi, ha un bisogno profondo di non essere giudicato, ma di essere ascoltato e capito, di esprimere un affetto profondo. Il loro percorso è proprio un ritrovare la possibilità di questa affettività sana, di questa apertura… Trovare qualcuno davanti al quale non avere paura di dire ciò che sono e ciò che provo davvero (fosse anche rabbia, odio, paura). Io spero che la fede non perda questa dimensione affettiva, altrimenti diventa una cosa intellettuale e inutile. Magari in macchina, magari nel proprio letto: dire ciò che siamo realmente e magari commuoverci anche per il fatto che possiamo contare su qualcuno che ci capisce profondamente… come neanche noi stessi riusciamo a desiderare.

2) La mediocrità di una vita che non sbaglia mai e non ha mai nulla da perdonarsi appare peggiore di una umanità ferita e poi faticosamente rinata. Alcuni ragazzi che abbiamo incontrato alla fine di questo racconto sono più umani e veri di tanti di noi o di tanti che pure non hanno mai sbagliato nulla. Saremo giudicati sull’amore e non sul perbenismo! Non avere paura di sbagliare è meglio che trattenersi sempre dietro un vetro di finto perbenismo e forse non avere mai il coraggio di vivere appieno. Le ferite e gli errori rimangono tali e non vanno giustificati. Tuttavia, quando qualcuno di noi li attraversa e non si dimentica di esserci passato, appare più umano, più sensibile, più ospitale, meno giudicante nei confronti degli altri… Insomma, essere tiepidi non è una virtù e davvero c’è più gioia per un uomo che rinasce che per cento che fingono di non avere bisogno di essere salvati.