Penultima domenica dopo l’Epifania

Bar 1,15a;2,9-15a; Sal 105; Rm 7,16a; Gv 8,1-11

Un modo per non essere misericordiosi non è solo quello di inchiodare all’errore gli altri, ma anche quello di non riconoscere più alcuna verità. Sono entrambe due forme che mi appaiono ben presenti oggi. L’esempio lo traggo da un fatto di cronaca che è rimbalzato sulle prime pagine di tutti i giornali. Un ragazzo sedicenne si lancia dalla finestra dopo l’ispezione della guardia di Finanza della sua camera. Non aveva molta droga ma quanto basta a essere fuorilegge. Inchiodato da solo al suo errore, senza quella capacità di dire “ho sbagliato” e non sentirsi lapidati: si è da solo lapidato. Nel mistero di una libertà che nessuno può conoscere totalmente, posso solo immaginare quanto difficile sia riuscire a dire “ho sbagliato e pago” senza il peso di un’onta o di una vergogna irremovibile. Quando accade, quando l’uomo non si inchioda alla sua povertà che è costretto a riconosce, quando la vergogna di sé non ha la meglio sulla scena, come in questo Vangelo, riconosco che di vera grazia cristiana si tratta. Non avrei un’altro nome. Insegnare a dire “ho sbagliato” senza il marchio a fuoco di uno sguardo che ci condanna non è altro che la questione stessa dell’incontro con Gesù. Potrei dire che l’incontro con Cristo è proprio quello di fronte al quale si sente accadere questo: la propria assoluta fragilità e immaturità della vita che non diventa segno di umiliazione.
Ma c’è anche l’altro versante, molto presente oggi, per non sentire la vergogna si può anche eliminare la verità. Ed ecco che appena dopo la tragedia di Lavagna, che metteva in luce la falsità della via della droga, alcuni illustri personaggi si muovono perché tutto venga liberalizzato, perché i ragazzi non percepiscano più un senso del lecito e dell’illecito, del giusto e dello sbagliato… Dimenticando un fatto: che non si tratta della questione della droga e dei commerci illeciti, ma dei ragazzi, delle loro vite, del loro modo di affrontare l’impatto con la vita… Come diceva Cesbron: «Quando un ragazzo ruba una bicicletta che cosa importa alla società? La sorte della bicicletta o quella del ragazzo?»

Una seconda riflessione. Questa donna adultera è stata spesso interpretata come immagine della Chiesa, con tutti i suoi errori e peccati. Quale paradosso è la Chiesa se ci fermassimo per un attimo a pensare, proprio come questa donna. Mi si dice che è santa, e la vedo piena di peccatori. Mi si dice che essa ha come missione quella di strappare l’uomo alle preoccupazioni terrestri, di ricordargli la sua vocazione all’eternità, e la vedo incessantemente occupata delle cose della terra. Mi assicurano che è universale, aperta come è aperta l’intelligenza e la carità divina, e io constato molto spesso che i suoi membri, per una specie di fatalità, si ripiegano timidamente in gruppi chiusi. La si proclama immutabile, l’unica stabile al di sopra del turbine della storia, ed ecco che d’improvviso, sotto i nostri occhi, essa sconcerta una quantità di fedeli coi suoi bruschi rinnovamenti… Quale paradosso, come paradossale è la figura di questa donna perdonata. C’è una bella pagina di Rahner che descrive come si possa vederla:

“Gli scribi e i farisei –ne esistono non soltanto nella Chiesa, ma dappertutto e sotto i più importanti travestimenti– continueranno pur sempre a trascinare «la donna» davanti al Signore, sbattendogliela ai piedi con la segreta euforia che «costei», grazie a Dio, non è affatto migliore di loro e accusandola così: «Signore, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Che ne dici?». E la donna non potrà negare: è davvero uno scandalo, non ci sono scuse che tengano.
Ella pensa ai suoi peccati, alle colpe che ha realmente commesse, obliando invece –e come potrebbe fare altrimenti l’umile serva?– la gloria occulta e palese di santità. Perciò non intende negare. Essa è la povera Chiesa dei peccatori. La sua umiltà, senza la quale non sarebbe santa, le fa ricordare solo la colpa. E ora sta davanti a colui al quale è affidata, davanti a Colui che l’ha amata e si è sacrificato per santificarla, davanti a Colui che conosce i suoi peccati meglio di tutti i suoi accusatori. Egli però tace. Scrive di lei peccati sulla sabbia della storia mondiale, che presto si estinguerà, cancellando così anche le sue colpe.
Egli tace per un piccolo lasso di tempo che a noi sembra fatto di millenni. E giudica questa donna solo con il silenzio del suo amore, che ricolma di grazie e assolve. In ogni secolo sorgono accanto a «questa donna» nuovi accusatori, che poi sgattaiolano sempre via, uno dietro l’altro, cominciando dai più anziani; si, perché non se ne è mai trovato uno senza peccato.
Alla fine del carosello il Signore si troverà solo con la donna. Allora la rialzerà da terra, guarderà in faccia alla peccatrice sua Sposa e le chiederà: «Donna, dove sono quelli che ti accusavano? Nessuno ti ha condannata?» Ed essa, con indicibile pentimento e profonda umiltà, risponderà: «Nessuno, Signore».
Rimarrà meravigliata e quasi sgomenta del fatto che nessuno, proprio nessuno, abbia osato farlo. Il Signore le andrà allora incontro dicendole: «Neppure io ti condanno». Scoccherà un bacio sulla sua fronte, dicendole con tutto l’affetto: «Sposa mia, Santa Chiesa».