Pentecoste

At 2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20

Quando sei anni fa sono diventato prete, diverse persone mi hanno chiesto come mai avessi fatto una scelta del genere. Nell’imbarazzo che genera una domanda come questa –e sopratutto nella sproporzione tra la richiesta e una possibile risposta– percepivo che la vera difficoltà era data dal fatto che sembrava difficile, anche per gente cattolica che va in Chiesa, pensare che Dio agisca davvero nella vita delle persone, pensare che davvero esista uno Spirito.
Parlo di me, ma potrei parlare di tanti di voi che sono qui: i ragazzi che sono qui nonostante i loro coetanei li considerino “bigotti”, le famiglie che si danno da fare in parrocchia nonostante le fatiche, nonostante si possa andare a sciare nei weekend, o i quei giovani che magari si trova a leggere assieme il Vangelo, malgrado abbiamo tanti altri impegni…
Sembra diventato difficile dire che l’intuizione che ci ha mosso e continua a muoverci su questa strada, facendoci intravedere una verità, possa essere chiamata semplicemente un dono dello Spirito, la presenza reale del Signore incarnato nella nostra vita, nella nostra coscienza che –come grillo parlante– ci suggerisce la verità.

Perché sei entrato in Seminario? Perché segui ancora questi amici? Perché vai ancora in oratorio? A volte le risposte che immediatamente possiamo darci appaiono molto più umane e comprensibili: perché sono stato educato così, perché ho avuto questa storia, per la psicologia, perché mi sono trovato bene… Eppure queste risposte non mi hanno mai convito del tutto. Sono vere? “Forse anche”, ma nessuno potrebbe spingersi più in là di un “forse” e sapere con assoluta certezza il motivo di una decisione.
Tutte quelle risposte materialiste dimenticano che io sono sempre libero di andarmene, di non starci più, di fare la scelta opposta… perché la mia libertà è un mistero a me stesso (libertà è in fondo il nome che diamo a questo mistero) e non è qualcosa che mi sono dato da solo, né posso togliermi questa libertà da solo, senza togliermi anche la vita. Pensate come si possa incarcerare o torturare qualcuno, ma non si possa togliere la libertà, la libertà di amare qualcosa. C’è un mistero che ci abita: nessuno può costringere un altro ad amarlo liberamente.

Le risposte materialiste sono risposte che spiegano solo in parte la realtà e dimenticano quello che invece in molte occasione ci è davvero evidente: che siamo mistero a noi stessi e che la nostra coscienza, le nostre intuizioni, i dubbi e le domande, come le scelte definitive, hanno sempre a che fare con una sostanza che non possediamo del tutto, che non è in mano nostra. In altri termini: nessuno è in grado di dimostrare Dio agli altri, e questo è evidente a chiunque abbia un figlio o faccia l’educatore, ma dovremmo anche dire che nemmeno a noi stessi e non siamo in grado di andare da soli verso Dio.

Il mondo si stupisce perché la Chiesa dice che le scritture sono state ispirate da Dio, come se questo fosse un fatto impossibile. Tuttavia non si stupisce del mistero che abita ogni scelta e ogni vita, in particolare quelle che decidono di essere “diverse” dal previsto o dal “prevedibile”. Non si stupisce che ti sei deciso ad amare per sempre proprio quella ragazza (e non un’altra magari), non si stupisce della fedeltà a quegli amici, del fascino di quella parola evangelica…
E’ così: se uccidi il mistero che ci abita, se smetti di credere in uno Spirito (che è una ragione della nostra singolarità), nulla più ti stupirà della tua vita da adulto. Ma se nulla ti stupisce davvero, per cosa vale realmente la pena vivere? Una vita così non assomiglierebbe troppo a un vivacchiare inconsapevole?

Vorrei fare un passo ulteriore. Cosa distingue lo Spirito di Dio da ogni generica intuizione, da ogni generico moto della coscienza e dell’anima del quale non conosciamo l’origine? O da ogni mistero che potrebbe spalancarsi in noi stessi?
Gesù dice in questo Vangelo che questo Spirito rimane per sempre. La fede dei discepoli è consapevole del fatto che la vita di Gesù non è sotto il potere della fine, della morte, dell’invecchiare del tempo. E il suo Spirito si distingue da questo: semplicemente non muore. Per quanto possiamo nasconderci quella verità, per quanto per diversi anni abbia cercato di assopire la mia vocazione, essa riemergeva sempre sistematicamente. Lo Spirito di Gesù si riconosce perché non abbandona.

I legami che rimangono sono il segno del suo Spirito. Tutto ciò che la storia (o la morte) non è in grado di uccidere, di far morire. E questo non significa che si debba sempre stare assieme o continuare a vedersi ogni giorno. Ma tutto ciò che viene coltivato di buono, nelle relazioni, a infiniti livelli, se viene dal Signore porta frutto altrimenti muore. Ed è meglio che muoia, a volte smascherando l’illusione o il narcisismo che la nutriva. Quello che è certo è che se una cosa non viene dal Signore la storia se lo mangerà via, lasciandoci non più ricchi ma più poveri e arrabbiati a volte, o nostalgici e malinconici.

Per questo, più che fare tante attività, è necessario imparare a pregare gli uni per gli altri. E più lo si fa, più ci si accorge che è davvero il Signore a tenere in piedi la nostra storia ed è solo per questo che possiamo anche permetterci di non angosciarci troppo del domani che avrà già le sue inquietudini.