Pentecoste

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Nel suo addio, Gesù sembra preoccupato di due cose; due cose fanno particolarmente male all’uomo: l’ignoranza e la solitudine. Per queste, Gesù, prima di tornare al Padre, è davvero preoccupato. Per esse, promette un sostegno nella vita (il testo dice un “paraclito” ovvero qualcuno che viene vicino e che aiuta). Su queste –e non su altro– anche noi dobbiamo aiutarci a vicenda. Gesù non è preoccupato che trovino lavoro, che siano bravi a scuola, che abbiano successo, che trovino la morosa… sono tutte cose che si fanno e si disfano. Invece, ci sono due cose più pericolose: sentirsi abbandonati e non capire le cose.

L’ignoranza. Cosa intende Gesù? Ne parla, sempre a proposto dello Spirito, nei versetti appena precedenti a questi. Per ignoranza anzitutto Gesù intende: essere influenzati dal giudizio degli altri uomini, oppure essere preoccupati più di quello che pensano gli altri uomini, che della realtà delle cose o del giudizio di Dio. Infatti noi siamo così: siamo influenzabili, crediamo quello che credono tutti, facciamo i discorsi influenzati dal pensiero comune, da quello che continuamente ci viene ripetuto e non dalla ciò che è vero o da ciò che pensiamo possa piacere a Dio. I discepoli stanno per vedere ucciso il loro maestro e tutti subito diranno: “ecco che era un impostore”. Gesù è preoccupato che questo giudizio non contamini la verità delle cose. Oppure –come accadrà poi davvero tra Pietro e la serva nel cortile del sacerdote– essere presi dalla paura di quello che penseranno gli altri (magari da quello che penseranno di me). Oggi tanti ragazzi fanno fatica a credere nel pensiero cristiano non perché non ne intuiscano la bontà ma perché temono il giudizio degli altri, sono influenzati dal pensiero dei coetanei. Sulle vicende affettive e lavorative (il proprio successo) pesa molto il prestigio e il giudizio degli altri ci danno, a volte questo fa perdere di vista la verità che pure si conosce bene. Così dice Gesù: ci sono uomini troppo preoccupati della fama che ricevono piuttosto che della verità che seguono. Questa è una forma di ignoranza: pensiamo non a quello che davvero sappiamo ma a quello che ci fa comodo credere.

Non essere ignoranti: lo Spirito ricorda ogni cosa, lo Spirito fa conoscere ciò che è gradito a Dio, ciò che è vero. Istruisce e fa vedere oltre il fallimento e il giudizio umano. Come quando –per dirne una– il grande medico Matthew, medico in Uganda, affronta la prima epidemia di ebola. Pochi volontari gli diedero una mano ad allestire in ospedale un reparto per isolare e curare l’ebola. Matthew morì e così molti di questi volontari, ma lui fu l’ultimo a morire. Eppure, tutti dicevano: è solo un fallimento. Invece, c’è una verità che si vede con gli occhi della fede. C’è una conoscenza delle cose (quelle giuste e vere) che va ben oltre i calcoli del profitto nel breve termine. C’è una verità che ci è ben manifesta e nota e che non è fatta di profitto o di vantaggio personale perché non ha nulla da perdere, neanche la propria reputazione.
Chi conosce Dio, del resto, non ha paura della morte quando ha vissuto la sua vita donandola. Si ha paura nella misura in cui non si conosce e si resta ignorati. Si crede in un dio o in un destino che fa paura nella misura in cui non lo si conosce. Per questo Gesù è preoccupato per l’ignoranza. Perché se non si conoscere Dio, se non ci si affida a una verità, si resterà nella paura o nella dipendenza da quello che pensano gli altri.

La solitudine e l’orfanezza sono le altre grandi paure di Gesù per l’uomo. Non ci sono medicinali scientifici e non si possono comperare cure. Per il nostro sentirci soli o privi di una appartenenza (orfani) davvero il mondo non ha soluzioni da offrire. Per questo la comunità cristiana resterà sempre il segno più bello della presenza dello Spirito. Mi sono accorto però in questi anni che per quanto uno si dia da fare, la comunità, l’appartenenza, l’amicizia, la comunione… non sono uno sforzo della volontà umana, non sono la quantità di iniziative che si fanno in parrocchia. Occorre che lo voglia il Signore, altrimenti, nel tempo non rimarrà nulla. Ma a ben vedere, se ci diamo da fare per gli altri, se non ci lamentiamo sempre, qualche piccolo segno di fraternità lo si vedere spuntare, anche nelle nostre talvolta travagliate parrocchie.