Pasqua del Signore

At 1,1-8a; Sal 117; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18

“Riconoscere è un dio” scriveva Euripide nella tragedia Elena. La questione della festa di oggi non è solo la celebrazione di una “rinascita” o di una speranza sulla morte. E’ invece prima di tutto questione di riconoscere, come accade per Maria in questo Vangelo. Questa è la questione della risurrezione: riconoscere Cristo oggi. Se c’è un motivo per cui ancora seguo il Vangelo di Gesù è che quello che leggo in quella storia lo riconosco vivo e presente, anche attraverso la testimonianza concreta di molti uomini. “Riconoscere è un dio”.

Invece, la questione della resurrezione come rinascita ha sempre fatto parte delle culture, antiche e moderne. I miti della rigenerazione sono presenti in quasi tutte le culture e certamente hanno un profondo legame con la ciclicità dell’anno, con i mesi e i ritmi della natura. Oggi forse lo sfondo è quello delle crisi economiche, dei cicli del benessere… In ogni caso, per i greci Persefone ritorna dal regno dell’Ade ogni sei mesi, ma anche Alcesti ed Admeto in tutte le sue rivisitazioni, fino a Erminone nel Racconto d’Inverno di Shakespeare… Se fosse tutto qui, il racconto cristiano, sarebbe una delle tante riscritture di una ciclicità della vita. Invece è tutto diverso da subito e impropriamente i cristiani parleranno allo stesso modo di “risurrezione”. Non solo perché in tutti i miti il regno dei morti fa ritornare non più uguali a prima (come Cristo), ma profondamente trasformati, come se si trattasse di una esperienza non condivisibile con i vivi. Non ci sono solo tutte queste differenze importanti di una diversa visione di rinascita e risurrezione. Molto prima c’è il fatto che la questione della resurrezione si pone in un altro modo: si pone come riconoscimento del Risorto.

Per alcuni oggi la questione religiosa sembra essersi ridotta alla questione del credere o meno in Dio. Per essi, il punto è riconoscere se c’è o meno un Dio nella nostra vita, un Dio del quale possiamo fare esperienza, un Dio riconoscibile, presente, non indifferente alle vicende umane… Per il cristiano invece, tutto questo è troppo generico. La questione è quale Dio si riconosce? Quale presenza? La presenza di un Dio tanto creatore quanto distruttore? Un Dio che getta i dadi del nostro destino? “Cosa vuoi riconoscere?”, sapendo che c’è in gioco un certo modo di vivere e di comprendersi come uomini.

Maria riconosce il Risorto ed è un fatto storico. Da questo primo riconoscimento, nella storia degli uomini l’agire di Dio ha iniziato ad essere identificato non più come l’agire di un “fato”, ma come l’agire di quel “maestro” che i dodici hanno incontrato. Ciò che accade oggi, quando riaccade il Vangelo, è lo stesso Cristo di allora. Agisce nella vita degli uomini trasforandoli dall’interno, agisce per conformazione, facendoci rinascere come uomini… eppure riaccade quello che accadeva allora. Chi ha letto il vangelo sa che è Lui. Il modo con il quale Maria sente venire pronunciato il proprio nome — ovvero il mondo con il quale noi rinasciamo a noi stessi, troviamo la nostra vocazione, ci riconosciamo pienamente uomini — non può che avvenire tramite l’incontro con quella verità che è il Vangelo di Cristo. Non diventiamo uomini autentici, non ci riconosciamo pianamente, se non attraverso uno che ci ami con una profondità che vediamo solo in quel maestro. Almeno per chi lo ha conosciuto, perché per poterlo “riconoscere” bisogna prima averlo conosciuto, essere entrati in contatto con la sua memoria.

Così, riconoscerlo significa, come per Maria, superare una crisi, ridare senso a una esperienza il cui significato è stata frantumato. Aristotele la chiamava “agnizione”: era quel tassello che in una trama narrativa rimetteva tutto a posto, era quel riconoscimento finale che dava senso al tutto. Del resto, solo così si trova davvero la proprio vocazione e quello che facciamo, per esempio il proprio lavoro, acquista un significato e un valore nuovo, non è solo un “fare” ma diviene un “essere”.
Solo dopo il riconoscimento Maria, pur non potendo trattenere il Signore, da un senso nuovo anche alla morte e alla vicenda passata. Dare senso al tutto, a ciò che si è fatto di vero e si farà ancora (riconoscere chi ci ha amato non come uno che si è perduto per sempre) tutto questo richiede di sapere non solo che c’è Dio, ma che è proprio il Risorto.

Per questo i greci avevano ragione: riconoscere è opera di una grazia, “riconoscere quelli che amiamo –ritrovarli e dargli così un senso totale sull’esistenza– è questione che deve avere a che fare con Dio”. Per noi, ciò che possiede questo senso totale, è solo ciò che riconosciamo in Cristo.