Pasqua del Signore

Da diversi anni ho appeso sopra il tavolo da pranzo un poster dell’affresco della Resurrezione di Piero della Francesca, oggi conservato a Sansepolcro. Era un’opera amatissima dallo scrittore inglese Aldous Leonard Huxley che la definiva “la più bella pittura del mondo” e proprio grazie a questo amore salvò letteralmente tutta la città di Sansepolcro dai bombardamenti inglesi. Infatti, il capitano britannico che aveva ordinato il cannoneggiamento della città interruppe il fuoco dopo essersi ricordato della frase del suo connazionale Huxley. Caso esemplare di come un’opera d’arte possa salvare delle vite umane…

Nell’affresco, Cristo si alza maestoso sul sepolcro, con un piede e un ginocchio innaturalmente alti e sembra saltare fuori dalla sua tomba, quasi che il salto tra la morte e la vita sia davvero grande. Tutto mentre in basso le guardie non vedono. Lo sguardo è ieratico, mentre con la destra tiene il vessillo della vittoria sulla morte. La scena ovviamente non è descritta dai vangeli canonici che non dicono nulla sul momento della resurrezione, perché si limitano agli incontri con il Risorto. Ma questo vuoto narrativo è presto riempito dai vangeli apocrifi che parlano del sonno delle guardie e dell’uscita maestosa del Cristo.

C’è però un particolare che mi ha colpito dell’opera di Piero: sulla destra di Cristo ci sono alberi verdi e rigogliosi, come fossimo in piena estate, mentre sulla sinistra del paesaggio solamente stecchi di vegetazioni, come accade in inverno. Pensavo: tutte le cose andrebbero a finire così, come in quel paesaggio invernale, se non ci fosse quella forza, quella potenza creatrice che ridesta altre piante con foglie verdi e nuove. Il punto è davvero tutto qua: questa forza misteriosa ha voluto farsi vedere, ergersi come nel mezzo dell’opera e rendersi familiare al nostro cammino di uomini. Così, a ciascuno di noi quella potenza è come se dicesse: “Io vengo da te, sono con te, ho vissuto quello che hai vissuto tu, ho subito i tuoi dolori, sono stato ucciso e ho accettato tutto questo perché tu capissi che Io partecipo della fatica che ti ho chiamato a compiere“.

Da questo punto della storia si è posta una domanda. Una domanda che non se ne potrebbe pensare una più radicale e grande. L’unica domanda che sta al di sopra di ogni altra possibile seria questione: Cristo sì o Cristo no. E’ vero o non è vero l’uomo non nasce per essere distrutto? E’ vera o non è vera quella positività dell’essere delle cose che non fa finire in nulla tutto ciò che amiamo?
Potremmo credere che questa domanda sia troppo grande e forse anche troppo bella per trovare una risposta sicura. Piero della Francesca saggiamente ha pensato che gli uomini testimoni di questa bellezza stessero dormendo, o forse –mi verrebbe da dire– che fossero ciechi, tanto le loro innaturali posizioni fanno credere che sia impossibile che siano comodamente addormentati. Perché questo è forse il desiderio più autentico e nascosto di ogni uomo: che tutto quello che ha amato, che ha abbracciato e sofferto, non sia inutile, non finisca in nulla.
Anche Leopardi che era tra gli uomini più seri davanti alla possibilità che tutto finisca in nulla, nella poesia “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, ha un attimo di smarrimento: desidera anche lui che il nostro corso mortale possa essere per un attimo capito. Che non sia così come sembra, che questa assurda umana fatica non sia un nulla… ecco, per un attimo possa essere svelato il suo misterioso finire e quasi confutato. Dice rivolgendosi alla luna, come si rivolgerebbe a Dio, perché per il poeta è ciò che non muore mai (nasce e risorge):

Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo…

Ecco, quel desiderio insaziabile di non vedere insensate tutte le cose. Perché tutto cambia se Cristo è risorto oppure no.

Personalmente, soltanto per un motivo non alberga in me la tristezza di Leopardi sulla vita, solo ed esclusivamente per un motivo: perché credo che non siamo destinati alla morte. E se è vero questo cambia tutto! Cambiano i pesi e i valori da dare allo cose. Cambia ciò che pensiamo importante e ciò che sappiamo essere solo provvisorio. Perché a cosa è dovuta la tristezza che ci portiamo addosso? Quella tristezza intessuta nelle profondità del nostro essere, quella che ci fa attaccare alle cose più inutili e futili della vita? Al fatto che tutto muore, come il fiore sul balcone d’inverno.

Posso credere che questo non sia un sogno, come quello dei soldati del quadro, solo perché l’ho visto per davvero nell’umanità nuova e forte (come il Cristo del Piero) di tanti testimoni che “sempre cadono ma sempre si rialzano”. E così mi hanno insegnato che non è vana questa nostra speranza, ma al contrario vale la pena. La vita stessa vale davvero la pena della sua fatica! Ricordiamocelo, contro ogni annuncio triste e depresso di sventura così di moda ai nostri giorni.