Pasqua del Signore

Oscar Wilde diceva che è più facile simpatizzare con il dolore di un amico che rallegrarsi delle sue gioie. Forse è anche per questo che è difficile parlare della resurrezione di Gesù e più facile della sua morte nella quale possiamo ritrovarci. Andò così anche a Paolo quando parò all’areopago: lo ascoltarono proprio fino a quando non parlò di risurrezione, allora dissero: “su questo ti ascolteremo un’altra volta” per congedarlo gentilmente.

Vorrei allora ricordare con onestà, senza retorica o bluff, perché io sono qui e credo nella risurrezione di Gesù.
Onestamente devo dire che ho creduto a qualcuno che me l’ha detto. Da quando sono bambino qualcuno me lo dice. C’è una moltitudine enorme di persone che prima di me hanno creduto in quello che ora credo anche io. Questo non basta, ma è il primo fatto dal quale partire: qualcuno prima di me ci crede. E’ vero che si potrebbe farlo per interesse o solo per tradizione o semplicemente ci si potrebbe essere sbagliati. Però questo non posso dirlo di tutti così facilmente. Sopratutto fatico a dirlo dove conosco bene chi me ne parla, oppure dove non vedo un movente vero per mentire su una cosa così grande.
In altri termini, non sono mai riuscito a credere che tutto sia nato dall’inganno, che questo racconto sia nato come una menzogna. Sopratutto negli anni del liceo, molti compagni mi hanno insinuato questo sospetto e allora ricordo che fu importante andare a fondo e leggere diverse storie del cristianesimo… ma non sono mai riuscito a trovare un convincente motivo che mi dicesse che questi testi dicono una cosa che deve essere stata inventata. Ovviamente esistano molti racconti di miracoli o stranezze alle quali io non credo, ma se li confrontate con il Vangelo capite subito da voi stessi che è tutto diverso.
Mi ha anche sempre stupito che questa fede ha accomunato persone diversissime: una ragazzina semi analfabeta di un paesino rurale della francia come uno scienziato al pari di Einstein. Perché doveva mentire gente così diversa? Dunque, il primo motivo per cui credo è che credo nelle persone che me l’hanno testimoniato.

Il secondo motivo l’ho invece capito io stesso nel tempo. Ho capito che dopo la morte di Gesù non si può continuare a credere nella sua importanza e nel suo messaggio senza di Lui. Senza di Lui, questo rabbino del primo secolo che non lasciò nulla di scritto sarebbe stato dimenticato come tanti altri uomini del suo tempo. Senza di Lui, io stesso non potrei continuare a dare credito ai suoi discorsi, alle sue preghiere, al suo modo di parlare di Dio, alla sua novità. Senza di Lui, oggi non si parlerebbe davvero più di Gesù e io mi sarei già stufato di parlare di religione. Quale testo del resto viene letto e riletto così tante volte e non si logora, non si consuma, ma appare per tanti (e per me) ancora capace di parlare al cuore. Senza di Lui, la fine di tutto sarebbe stato il naturale corso alla vicenda. Invece, coloro che l’avevano amato continuarono ad amarlo e dopo duemila anni anche noi continuiamo a farlo… davvero potrebbe essere accaduto tutto senza di Lui?
Lo aveva capito anche un ebreo di nome Gamaliele quando imprigionarono questi primi testimoni: “se questo è un progetto o un’impresa messa su dagli uomini, sarà distrutta; ma se viene da Dio, non potrete annientarli”. Ecco, io so che questo è un fatto.
Forse c’è anche dell’altro per il quale io credo, ma non vorrei dirlo stasera.

Però è difficile credere. Forse anche perché aveva ragione Oscar Wilde: è più facile piangere che rallegrarsi. Per farlo occorre dare credito al desiderio più grande che abbiamo, un desiderio che ci sembra così bello da non poterlo sperare come vero: di poter abbracciare per sempre chi amiamo. E’ forse la cosa che più ci importa profondamente perché pone fine all’apparente non senso di una vita destinata soltanto alla morte.