La parabola del Padre Misericordioso – Lc 15, 11-24

Molte diverse letture, per davvero tutte interessanti, commentano questa particolare parabola. Che a mio avviso colpisce. Certamente mi ha colpito. L’unica cosa che ricordo del catechismo dell’infanzia è quando mi hanno raccontato questa parabola. Se l’ascoltassimo per la prima volta oggi, resteremmo colpiti. Peccato che ci siamo abbituati ad ascoltarla.
Comuque. Molti commenti: chi parla di un principio del piacere e un principio del dovere incarnati nei due fratelli, chi della centralità del padre ecc. ecc.
Tuttavia, un sospetto mi ha sempre lasciato un po’ di stupore: da un lato il carattere non moralistico della parabola, dall’altro l’epilogo sempre con un “indicativo morale” di tutti i commenti.
Questo contrasto mi ha sempre dato fastidio. Vorrei evitarlo. Lo faccio pensando che questa parabola parli in realtà della preghiera. Del mio modo di pregare. Non di ciò che faccio, ma del mio rapporto (anche intimo) con il Signore. Quel rappoto che si crea – volente o no – ogni volta che penso a lui, che mi metto davanti alla sua presenza, che nel mio lettuccio dico la mia piccola preghiera.
Sembra una cosa semplice pensare di essere amati da Dio. Invece non ci viene naturale di ritenersi sempre ai suoi occhi uomini che lui non cambierebbe con nulla al mondo, le sue perle preziose. Abbiamo bisogno di immagini, parabole, parole e certezze, per inizare a crederlo veramente. Qui mi viene in mente il figlio che non si sente più figlio o il figlio che pur restando nella casa è come se non fosse figlio. Sentirsi amati da Dio, custodidi nella nostre fibre più profonde, in ogni momento di sconforto o di semplice quotidianità. Fuori dal nostro narcisismo o dalla nostra depressione che cerca compensazioni ad ogni carenza affettiva. Pregare mettendosi davanti a questo sguardo amante di Dio, nella dignità di interlocutori amati.
Dignità di interlocutori amati. Per me pregare è questo: cercare e sentire la dignità di essere un interlocutore amato. Sempre. E fare l’esperienza di esserlo realmente ai suoi occhi e di chiedere che ogni uomo possa fare questa esperienza. E non perdere la fiducia di essere sempre figlio, di sentirmi sempre figlio; in qualsiasi situazione della vita siamo: sia a mangare carrube o a lavorare nella vigna del Signore. Nel deserto più arido delle difficoltà della vita come nei momenti di grazia.
Chiederlo per sé e chiederlo per gli altri. Questo mi insegna a sperare questa parabola.