La Bibbia – una introduzione

Vorrei iniziare da una domanda volutamente troppo generica: di cosa parla la bibbia? Per provare a rispondere a questa domanda si può cercare la pretesa stessa del Libro: cosa vuole dire la bibbia?
Se prendiamo la prima e l’ultima pagina del testo dovremmo rimanere stupiti della vastità del suo orizzonte. L’inizio della bibbia conicide con la descrizione dell’inizio del tutto “In principio Dio creò il cielo e la terra” (bereshit barà elohim et aschannai veet aarez). La fine della Bibbia, almeno nella tradizione crisiana, analogamente è una invocazione della fine del tutto, alla apocalisse finale, “Vieni Signore Gesù” (erkou kurie Iesou). La pretesa della bibbia ha questo orizzonte temporale: da una origine a un compimento.
Tuttavia rimarremmo delusi se tra questi due estremi ci aspettessimo lo svolgimento di tutta la storia. Ci accorgeremmo non solo di molti salti temporali ma anche di ripetizioni, racconti che ricominciano la storia, racconti ambientati in momenti indefiniti della storia. Basti per esempio il libro delle cronache che ricomincia a parlare da Abramo, o l’ambientazione indefinita del libro di Giobbe.
La pretesa della Bibbia non è dunque narrare tutta la storia né solamente la storia di Israele.
Nasce allora la domanda se esiste realmente una pretesa del libro della Bibbia. Si tratta forse di libri disparati e aventi ognuno una diversa teologia assolutamente non unificabile?
Tuttavia, a differenza di altre culture che ci hanno tramandato diversi libri o rotoli dei loro scritti e delle loro tradizioni, la Bibbia appare una raccolta unificata di scritti. Quale disegno racchiude l’unificazione di tanti testi diversi?
Il nome “Bibbia” (che significa “libri”) non aiuta a intravedere un disegno unitario, un cuore o una prospettiva che unisce i racconti. Il nome ebraico rivela invece molto di più. In ebraico la bibbia è detta Tanak, un acronimo che nelle sue consonanti nasconde l’indice stesso della bibbia. TaNaK indica: Torà, Nevi’im, Ketuv’im, ovvero “legge”, “profeti”, “scritti”.
Un trittico è la stintesi della bibbia. Anche Gesù parla della bibbia come questo trittico: Lc 24 racconta che Gesù spiegò le “scritture” cominciando “da Mosè e da tutti i profeti”. Prima di Gesù, il libro del Siracide (II a.C.) nel suo prologo parla di un uomo saggio che studiò la “legge i profeti e gli altri libri”.
Dunque, non ci sono soltanto tanti libri, ma un trittico fatto di una “legge, dei profeti e degli altri scritti” (torà, nevi’im, ketuvim ovvero TaNaK).
Nasce allora la domanda: esiste un centro di questi scritti? Legge, profeti e scritti non potrebbero essere la dipanazione di un’unica esperienza? In estrema sintesi tutto l’antico testamento racconta l’esperienza di un popolo con il suo Dio, l’incontro con un Dio che ha liberato dalla schiavitù un popolo. Questa esperienza non è raccontata solo nella sua linearità storica, ma spinge verso tre linee: passato, presente, futuro. Legge, profeti e scritti nella loro unità possono essere interpretati come il dispiegarsi di un’unica esperienza nelle sue prospettive temporali.

L’orizzonte della bibbia è dunque quello di un lungo lavorio redazionale che ha disegnato un percorso tutt’altro che casuale, ma unitario. Come i diversi strati di una Matrioska il testo biblico mira a sviluppare un suo centro.
Cerchiamo dunque di capire le coordinate del trittico legge, profeti, scritti.

Il passato normativo della Torà
Il primo corpo di scritti trova nella tradizione la sua forte unità. Unità messa più volte in discussione dallo strano fatto che l’ultimo libro del pentateuco, il Dt, non racconto l’epilogo della vicenda narrata, ovvero l’ingresso nella terra promessa, ma si ferma sulla soglia. Un dato che sarà da spiegare. Come mai il primo grande capito della Bibbia resta così in sospeso?
Vediamo prima il disegno della Torà. Anche la Torà appare scandita al suo interno da un trittico: un Dio creatore universale (Elohim) di Gen 1-11, un Dio delle promesse ai padri Abramo-Giacobbe-Giuseppe (El Shaddai) di Gen 12-50 – che appare come un grande antefatto a quello che accadrà – e un Dio liberatore dall’Egitto (YHWH) di Es,Lev,Num,Dt.
Come è chiaro anche dalla estensione del racconto, tutto serve per capire il grande racconto della liberazione. Il Dio che libera è lo stesso che ha fatto la sua promessa di liberazione ed è lo stesso che ha creato il cielo e la terra.
Ma, come l’incastro di tante matrioske, anche il racconto della liberazione ha un suo disegno concentrico.
Esso non va ricercato nella conclusione del racconto, nella logica occidentale del sillogismo che tende a mettere ciò che è importante alla fine, ma nel suo centro. La logica ebraico è infatti concentrica e mette la parte più importante di un racconto nel suo mezzo, cercando di incornicialo il più possibile con racconti simmetrici che facciano da cornice.
Ecco allora come si presenta il racconto della liberazione dell’Egitto:
Inizio di Mosè (Es 1-6) Morte di Mosè (Dt)
Liberazione e piaghe (Es 7-15) Primo ingresso (Nm 13-36)
Cammino nel deserto (Es 16-18) Cammino nel deserto (Nm 11-12)
Alleanza (Es 19-24) Alleanza (Lv, Nm 1-10)
Leggi Santuario (Es 25-31) Costruzione del Sant. (Es 35-40)
Peccato-castigo-perdono
al Sinai (Es 32-34), Es 34,6-7

Come Gn 1-11 è il tentativo di risalire al cuore dell’uomo per spiegarne la sua natura, Es 32-34 cerca la radice profonda dell’identità dei due soggetti: Dio e Israele.
Nella Torà Dio ha già liberato il popolo, ma il popolo non possiede ancora la terra promessa. La condizione di possibilità del possesso della terra è data, ma la sua realizzazione dipende dalla libertà dell’uomo. La prima tuttavia, è già data per ogni uomo. E’ il passato normativo per Israele, è il simbolo stesso della alleanza.
La condizione è aperta per ogni generazione come esplicita Dt 9,4-6.

Il presente interpretato dei Profeti

La suddivisione dei profeti in anteriori (Giosuè, Giudici, Samuele, Re) e posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e i 12 minori) permette di chiarire cosa si intende per libri profetici.
I profeti non sono coloro che prevedono il futuro. Non si spiegherebbero i primi quattro libri che narrano fatti presenti e non contengono “profezie” così come comunemente si intende. In questa definizione lo straordinario sarebbe di vedere o dire “prima” dell’accaduto. Piuttosto il profeta vede o dice una parola riguardo all’oscurità dell’oggi, alla difficoltà di capire il momento presente. Egli va al di là del fatto per dire cosa esso significa o cela. In sintesi: ciò che va a svelare non è l’avvenire ma l’Assoluto.
Tre parole sintetizzano il movimento profetico: spirito, parola, legge.
Spirito: è l’incontro tra la passione di Dio (perché anche Dio si stupisce e soffre) e quella del profeta. E’ un com-patire. Non quindi dalla trance o dall’ipnosi o dalla magia il profeta trae motivo di scrivere ma da una passione che “viene da Dio”. Non è un qualche cosa di oggettivo che il profeta prova ma l’accesso a una esperienza e a un sentimento che Dio propone.
Parola: il profeta è un “artigiano della parola”, in un certo senso un poeta. Come attraverso la poesia noi percepiamo un livello e un accesso alla realtà che altre parole non ci sanno trasmettere, così il profeta cerca le parole perché queste svelino l’Assoluto che gli è rivelato. In questo senso trovare le parole è sempre un evento. Noi traduciamo: “La parola del Signore fu rivolta al profeta…” il realtà il testo dice “la parola del Signore avvenne attraverso il profeta…”. Chi trova le parola sa che da dove provengono e sa che l’effetto che esse producono va ben oltre la volontà dell’uomo.
Legge: si legga Ger 31,31-34.

La contemporaneità sapienziale degli scritti

Il corpo degli scritti ha come sua caratteristica principale la sua non sistematicità. Mentre la torà è la storia normativa di Israele e i profeti sono l’interpretazione del presente alla luce di quella storia, gli scritti si presentano come i problemi di sempre e senza tempo dell’uomo. E’ il futuro che attende ogni uomo e che sempre ha atteso ogni uomo, ma interpretato a partire dallo stesso cuore che ha fatto l’esperienza di Es 32-34.
Non c’è un racconto storico salvifico e spesso il nome nome stesso di Dio non compare (si pensi al Cantico dei Cantici). Ma non si tratta di un discorso secolarizzato, piuttosto dell’uomo in quanto uomo che patisce anzitutto la mancanza della presenza di Dio.
In modo molto approssimativo possiamo vedere i temi trattati:
Salmo (preghiera), Giobbe (problema del male), Proverbi (la sapienza), Cantico dei Cantici (l’amore), Ruth (matrimonio e identità), Lamentazioni (dolore e peccato), Qoelet (senso della vita e delle generazioni) Ester (l’ironia della storia). Esdra e Neemia (confronto con i popoli), Cronache (senso della storia).

La ricapitolazione dei corpi

Tutti e tre questi blocchi hanno dei testi che ne fanno sintesi e al tempo stesso chiudono il loro discorso. Sono il libro del Dt che chiude la torà (la legge della legge) – vedi Dt 30. Il secondo Isaia che ricapitola il discorso profetico (Is 40-55 oracolo dell’oracolo). I primi nove capitoli dei Proverbi che ricapitolano i discorsi sapienziali (ascoltare la sapienza è la sapienza).

L’apocalittica e la fine

A chiudere i libri dell’antico testamento, come a chiudere i libri del nuovo, si trovano due testi di genere apocalittico. Rispettivamente il libro di Daniele e l’apocalisse di Giovanni.
La simmetria tra “legge”,”profeti” e “scritti” con il Nuovo Testamento diviso in “vangeli”,”atti”,”lettere” è mantenuta con le due chiusure apocalittiche di Daniele e Giovanni.
L’apocalittica è la riapertura di ogni ricapitolazione. Indirizza a un futuro e a un compimento. Legge, profeti e scritti lasciano aperta una domanda: quando la condizione sarà positivamente attuata? Un secondo arco si apre: non più dalla creazione alla elezione di un popolo ma da quella elezione a nuovi cieli e una terra nuova. In questo senso, è necessità di ogni Scrittura aprirsi a una apocalittica.
Tuttavia, si noti, mentre il libro di Daniele, lascia attendere un futuro indefinito, l’apocalisse di Giovanni rilancia su un evento che è già accaduto. Per l’apocalisse giovannea l’agnello è già stato immolato e i sigilli aperti: la morte e risurrezione del Signore è già tutto quanto si era atteso. Non bisognerà attendere nulla di “altro” da quello che sulla croce è definitivamente accaduto. Nulla ci turbi. La bibbia cristiana finisce realmente così: nulla ci turbi, oramai la grazia di Dio è con ogni uomo.