IX Domenica dopo Pentecoste

Letture

LETTURA 2Sam 12, 1-13 Lettura del secondo libro di Samuele In quei giorni. Il Signore mandò il profeta Natan a Davide, e Natan andò da lui e gli disse: «Due uomini erano nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero, mentre il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina, che egli aveva comprato. Essa era vissuta e cresciuta insieme con lui e con i figli, mangiando del suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Era per lui come una figlia. Un viandante arrivò dall’uomo ricco e questi, evitando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso quanto era da servire al viaggiatore che era venuto da lui, prese la pecorella di quell’uomo povero e la servì all’uomo che era venuto da lui». Davide si adirò contro quell’uomo e disse a Natan: «Per la vita del Signore, chi ha fatto questo è degno di morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non averla evitata». Allora Natan disse a Davide: «Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, Dio d’Israele: “Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa d’Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi aggiungerei anche altro. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Uria l’Ittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Uria l’Ittita”. Così dice il Signore: “Ecco, io sto per suscitare contro di te il male dalla tua stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un altro, che giacerà con loro alla luce di questo sole. Poiché tu l’hai fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole”». Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai». SALMO Sal 31 (32) Ridonami, Signore, la gioia del perdono. Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato. Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto e nel cui spirito non è inganno. R Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa. Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato. R Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia, mi circondi di canti di liberazione. Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti! Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia! R EPISTOLA 2Cor 4, 5b-14 Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi Fratelli, quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo. Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita. Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: «Ho creduto, perciò ho parlato», anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. VANGELO Mc 2, 1-12 ✠ Lettura del Vangelo secondo Marco In quel tempo. Il Signore Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo? ». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».

Vorrei riflettere su due aspetti di questo vangelo. Il primo riguarda la tenacia r l’ostinazione degli amici di questo paralitico che di fronte all’impossibilità di portare il malto davanti a Gesù non si arrendono ma scoperchiano il tetto per calarlo.

Anche il profeta Natan dimostra la stessa ostinazione davanti a Davide, escogitando un modo per fargli capire il male che aveva commesso. Non si ferma davanti al ruolo o al carisma del Re, ma trova un modo nuovo, racconta una parabola, per fagli capire ciò che ha commesso. La stessa ostinazione è presente anche nel modo di parlare di Paolo che riconosce che non ci sono affanni o povertà che possano strappare del tutto il dono della fede che custodisce: “siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi”.

Nel Vangelo –anche se è un po’ la prima volta che una guarigione non viene chiesta in prima persona da parte di un malato, ma da parte dei suoi amici– è frequente questa immagine dell’insistenza nel chiedere che diviene figura stessa della vera fede: la donna emorroissa non si era lasciata spaventare dalla sua malattia, che aveva un’onta teologica e si era intrufolata tra la gente pur di toccare a tutti i costi un lembo del mantello. La donna siro-eframita aveva chiesto con insistenza la salvezza della figlia, disposta a lasciarsi paragonare a un cagnolino che mangia le briciole del tavolo. Il centurione che aveva un servo malato e che manda emissari a questo straniero e tanti altri.

In tutti questi casi Gesù si è come trovato impotente nel negare un miracolo, riconoscendo la fede dei suoi interlocutori. Mi chiedo talvolta se questa ostinazione, questa insistenza e perseveranza nel chiedere fanno anche parte della nostra vita di fede, se abbiamo provato anche noi questo azzardo oppure se viviamo piuttosto rassegnati che tanto la vita va così: non avendo in fondo nulla o nessuno per cui pregare davvero. Nessuno per cui volentieri andremmo a scoperchiare il tetto di qualche casa pur di vederlo in piedi di nuovo? Se c’è qualcuno il Vangelo ci conforta. Se ci accorgiamo invece di esserci rassegnati alla vita lasciamoci almeno stupire da chi invece ha conservato questa tenacia. Tale mancanza è spesso indice della mancanza di un desiderio vero e vivo, di qualcosa per cui vale la pena vivere e lottare.

Il secondo aspetto riguarda la pretesa di Gesù non solo di guarire ma di perdonare. C’è un paradosso che vorrei mettere in luce: da una parte credo che fatichiamo a riconoscere la necessità di essere perdonati. Malgrado ripetiamo spesso formule e richieste di perdono (per esempio nella Messa) ho impressione che siano spesso parole ascoltate o dette tanto perché si deve, perché fanno parte di un rito. Del resto, se ci guardiamo, molti di noi non saprebbero davvero da che cosa essere profondamente perdonati. Diciamo a noi stessi: non ho ammazzato nessuno né faccio del male. Questo è vero! Però c’è un paradosso che spesso si vive: da una parte non sappiamo cosa abbiamo poi fatto di male, non sentiamo tutto questo bisogno di essere perdonati da Dio, dall’altro però molti di noi non hanno una grande stima di loro stessi. Molti si sentono un po’ falliti nella vita, molti sanno di aver fatto molto poco o meno di quanto forse avrebbero desiderato. Molti si sentono mediocri, nel modo di vivere la famiglia o il lavoro. È molto frequente trovare persone che non si amano affatto, che non stimano affatto quanto hanno fatto in anni e anni di lavoro e sacrifici.

Questo è un po’ il paradosso nel quale sento che molte persone stanno: non sanno di cosa dovrebbero mai essere perdonate, ma in realtà non stimano affatto la loro esistenza e si sentono estremamente fragili: come i vasi di creta di Paolo.

Togliere questa insicurezza, ridare dignità alla propria fragilità, sembrano cose difficili, quasi impossibili se si ha poi una certa età, forse più difficile che dire al paralitico “alzati e cammina”. Dal canto nostro, cerchiamo di avere amici abbastanza ostinati da riuscire a portaci a forza davanti a Gesù.