IX domenica dopo Pentecoste

2Sam 12,1-13; Sal 31; 2Cor 4,5b-14; Mc 2,1-12

Metto subito in luce un particolare di questo Vangelo. Il paralitico viene perdonato e poi guarito solo perché aveva degli amici. Non solo: è la fede degli amici che salva quell’uomo, non tanto la sua. Gesù dice infatti: “per la loro fede” e non “per la sua fede gli sono rimessi i peccati”. Questo ci ricorda che noi siamo letteralmente appesi alle relazioni che abbiamo, nel bene e nel male. Saranno degli altri a salvarci come, in negativo, possono essere degli altri a metterci brutte idee in testa. In ogni caso, noi ci salviamo solo per degli amici.
Vorrei inoltre chiedere: che amicizia sarà mai stata quella con un paralitico? E’ facile avere gli amici che ci sono simpatici, quelli che vengono in vacanza con noi, quelli che cenano assieme… ma quelli che solamente ci pesano addosso? Quelli come questo paralitico? Saremmo capaci noi di questa amicizia?

La seconda considerazione riguarda quello che reputo il nucleo forte di questo Vangelo: non si tratta soltanto di un miracolo. Il Vangelo di Marco vuole far fare un percorso al lettore ponendo di continuo la domanda: “chi è Gesù per me?”. Per questo motivo, da subito si racconta cinque controversie o scontri tra Gesù e i farisei. Come dobbiamo leggere queste dispute? Non solamente come cinque episodi della vicenda storica di Cristo, ma soprattutto come cinque questioni fondamentali che dobbiamo porci noi se vogliamo rispondere alla domanda “chi è Cristo per me?”. Non sono dunque solo cinque fatti miracolosi ma cinque scontri che si apriranno sempre tra me e me se prendo sul serio l’uomo Gesù.

Il primo, quello di questo racconto, riguarda questa questione: “Dio ha a che fare con il mio oggi?” Se voglio conoscere Cristo devo lasciare aperta la possibilità che le mie giornate abbiano a che fare con Dio e non, come dicono i farisei di questa pagina, “lasciare Dio tra le nuvole”.
Ecco il dubbio che ci viene: i miei incontri, i miei successi, le mie prove, i miei perdoni… sono un segno vero di Dio o una mia fantasia? Gli scribi di sempre ti dicono: “lascia perdere Dio!”, “Dio non c’entra con i tuoi giorni”, “guarisci e basta”, come se la guarigione vera non riguardasse anche il proprio riconciliarsi con la vita e con Dio.

C’è una lunga parabola nel nostro occidente che ha portato, non tanto a negare Dio, quanto a escludere Dio dalla quotidianità della vita. Si usa ancora la parola “provvidenza” oppure “grazia” senza il sospetto di essere dei fatalisti un po’ ingenui? Eppure, a uno sguardo lucido, a partire proprio dagli amici che si hanno incontrati, proprio di “provvidenza si vive”. Del resto: ce le siamo forse meritate noi le gioie e le relazioni più belle che abbiamo? Abbiamo chiesto noi di vivere? Abbiamo ottenuto noi la vita che viviamo?
Cosa ha portato l’abbandono della nostra capacità di leggere l’opera di Dio nella vita? A cosa porta questa autosufficienza di noi uomini governati dal caso e dalla fortuna? Ha portato a questo: a una grande paura per il futuro. Faccio un esempio banale: negli anni cinquanta si aveva nulla rispetto oggi, ma per la cultura ambiente cristiana si aveva della certezza che Dio non ci abbandonava e che davvero c’era una provvidenza: si viveva felici, ci si sposava e si facevano figli. Oggi, rispetto ad allora con molti più soldi e più lavoro, rimaniamo alla ricerca di qualche sicurezza ancora in più sul nostro futuro (e non sono mai abbastanza…). Guardiamo al domani con il sospetto di una catastrofe più che con la certezza che –anche nella catastrofe– è anzitutto da Dio che riceviamo l’essenziale per vivere. Del resto, non diciamo tutte le sere: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”? Perché dovremmo chiederlo se smettiamo di credere che è il Padre che davvero ci sostiene?

Marco ce lo ricorda: o torniamo a credere nelle opere di Dio nella nostra vita e allora possiamo anche perdonarci l’un l’altro, senza recriminarci nulla di così imperdonabile (conoscendo il Dio di Gesù Cristo), oppure la vita resterà nella paura della suo domani e della sua destinazione ultima… E, a meno di non essere a letto paralizzati, neanche i nostri amici più stretti potranno fare molto per noi e per la nostra mancanza di fede.