IV Domenica dopo Pentecoste

Gen 4, 1-16; Sal 49; Eb 11,1-6; Mt 5, 21-24

1) Dobbiamo capire come intendere questo “compimento” della legge di cui si parla in questo Vangelo. Non si tratta di aggiungere altri precetti ai precedenti o di una nuova serie di comandi ancora più forti e stringenti. Il compimento è invece qualcosa di molto diverso: la pretesa di una relazione nuova e diversa con Dio. Non più una relazione fondata sulla paura, sulla superstizione, sul precetto, ma una relazione che è in grado di darci una identità nuova, di farci scoprire per quello che siamo veramente, di toccare l’identità.

Darci una identità nuova è la grande pretesa di Gesù ed è il compimento della Legge. L’identità è un fatto centrale nell’esperienza umana. Non è la domanda teorica chi sono io, ma un compito di ciascuno. Non a caso le grandi fiabe raccontano il cammino di un “diventare” uomo (Pinocchio…): l’identità non è un dato ma un compito.
Faccio un esempio: un uomo a cinquant’anni perde il lavoro o magari torna a fare l’operaia e… non dorme più. Magari neanche sa perché, ma non dorme più. Un ragazzo viene bocciato è decide che non parla più con gli amici. Un deve dare un grosso esame ed è angosciato, lo sa che quell’esame magari non è così importante (lo “sa”), eppure –non capisce perché– non mangia più o risponde sempre male.
Cosa accade? Che gli manca affetto? Non è voluto bene? No, è accaduto che si è toccato qualcosa dell’identità. L’identità è un compito.
Faccia un secondo esempio: la manna del deserto. Tutti sappiamo che la manna non si poteva conservare. Perché non si poteva? Il testo dice perché la manna marciva. Ma tutti i rabbini che interpretano sanno che non era la manna a marcire, ma era l’uomo che pensava di poter accumulare che iniziava a puzzare. Ecco cosa è l’identità: quello che c’è in gioco è quello che sei.
La pretesa di Gesù è che la relazione con Lui arrivi fino a toccare l’identità.

2) Dove si mostra l’identità? Dove si rivela l’umano? Qui dobbiamo ricordare quello che dicevamo la volta scorsa: l’umano si rivela in particolare dove l’uomo non pensa. Non si rivela nei grandi principi etici (non uccidere) o quando si svolge un compito, ma si rivela nelle proprie ansie, nelle fobie, nei sogni, nelle schifezze.
L’uomo si rivela, l’identità dell’uomo si mostra, quando la moglie è di là e non sente, quando sono solo in casa, quando sono finalmente in vacanza, quando gli altri non mi vedono, quando è l’intervallo…
Qui appare l’identità e l’umano. Quello che siamo lo capiamo in questa quotidianità dove nessuno ci giudica. Se volessimo approfondire, quello che siamo nella nostra identità è forse (razionalmente) nascosto a noi stessi…

3) Per questo motivo il Vangelo di oggi mi sembra bellissimo e veramente concreto: Gesù sa che il nostro umano non si rivela soltanto per il fatto che non uccidiamo, ma si rivela quando la moglie non ci sente, quando diciamo “pazzo” e lui tanto non ci vede.
Il vangelo è bellissimo, perché penetra in quell’umano nascosto e non si accontenta di assolvere a un precetto, vuole cambiarci, vole “toccare l’identità”.
Ma non è una legge nuova. Se fosse una legge in più questo vangelo sarebbe disumano. Gesù sa benissimo cosa ci viene in mente quando un professore decide di infierire su di noi e non c’è al mondo una “legge esterna” che possa cambiare quel pensiero che mi viene.
Ma se uno non ha paura delle sue schifezze, se uno “se ne ricorda davanti al Signore” –come dice la finale di questo Vangelo– se uno non è così moralista da nascondere davanti a lui che noi proprio questo siamo, allora c’è la possibilità di un incontro diverso con Dio che tolga la paura e che ci mostri pian piano la nostra vera e unica identità.