IV domenica dopo il martirio di S. Giovanni

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Provo a ridire con parole mie quello che penso possa essere stato il senso dell’espressione “se uno mangia di questo pane vivrà in eterno “. Sicuramente la comunità di Giovanni viveva già nella celebrazione la “frazione” del pane eucaristico. Tuttavia, l’esperienza di mangiare il corpo di Gesù non è riducibile al solo atto rituale -che ridotto in sé stesso diventerebbe quasi un atto magico- ma al contrario tale gesto apre a un senso più ampio della comunione con Gesù.

Con parole mie direi così: noi non sappiamo nulla su Dio se non vivendo l’esperienza di Gesù e facendoci simili a Lui. Solo quando uno si fa simile a Gesù, si nutre del suo corpo, ovvero compie i sui gesti e vive secondo il suo spirito, allora conosce qualcosa di Dio. Se uno mi chiedesse: ma tu come fai a sapere cose su Dio? L’unica risposta che potrei dargli è che ci sono persone che si sono avvicinate a Dio, che hanno vissuto come Lui, che si sono fatte simili a Gesù, e solo per questo “sanno” di Dio…

Dio non lo si vede come si vede un oggetto o come si sa di una cosa esterna a noi. Ma Dio lo si vive vivendo l’esperienza di Gesù. In altre parole, si conosce per compartecipazione, si conosce diventando figli nel Figlio. Per questo Gesù passa molto tempo con i suoi discepoli, chiede una sequela, i suoi assimilano più per osmosi il modo di vivere di questo uomo che non “sapendo” alcune cose.

De Gregori scriveva in una canzone “vicino non è mai abbastanza”, per dire come la conoscenza solo intellettuale o solo di una “visione” non è sufficiente all’uomo. Gesù dice, “rimanete in me” e poi “mangiate di me“, “fate memoria di me“, perché non c’è un sapere, ma un “cambiare noi stessi” che porta con sé qualcosa di molto di più di una conoscenza intellettuale. Forse anche per questo è necessaria una vita liturgica: perché la vita liturgica avrebbe la pretesa di farci rivivere i gesti di Gesù e non solo di conoscerli o saperli. Come quando un ragazzo scopre delle sue capacità, scopre chi è, non tanto perché la mamma gli ha detto per esempio “prova ad imparare la chitarra”, ma perché lui stesso le vede in sé, lui stesso ha scoperto la bellezza di saper suonare.

Anche S. Paolo dice: “Gesù Cristo imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8). Significa che per noi, come per Gesù, ciò che impariamo viene dalla nostra trasformazione interiore, dalla compartecipazione alle sofferenze degli altri, dallo stare vicino agli altri. Un ragazzo imparerà di Dio più che dalle cose dette a catechismo, dal fatto che alla domenica va -magari controvoglia- a trovare sua nonna che sta male… un ragazzo o una ragazza saprà di Gesù se starà vicino a persone che vogliono vivere come lui.

Conosciamo assimilando, compartecipando, mangiando Gesù. E così impariamo un modo di vivere che ci rende vivi per davvero e persone autentiche. Come accade per il cibo, per cui il morire del pezzo di pane masticato e deglutito, viene assimilato diventando fonte di vita.
Ma “vivere per davvero”, cosa significa? Credo che non dobbiamo essere superficiali con la parola “vita”: noi pensiamo di sapere cosa sia la vita, ci sembra una cosa evidente, conosciamo i segreti delle cellule biologiche, ma Giovanni spesso dice “non avete in voi la vita” e altre vote dice: “c’è la vita e poi c’è la vita autentica o la vita eterna”… credo che noi siamo ospiti della vita più che padroni e davvero non sappiamo fino in fondo cosa sia. Per esempio, noi portiamo dentro al nostro pensiero e ai nostri affetti le persone alle quali vogliamo bene ed esse vivono a lungo nei nostri ricordi. Davvero sperimentiamo ogni tanto che “si può vivere negli affetti degli altri” o che “un amore non muore”, ma genera un frutto. Altre volte, al contrario, l’esperienza della vita passa e ci sembra non lasci proprio nulla, sia sterile, mortifera. Mentre altre volte ci rendiamo conto che voler bene fa esistere le persone interiormente molto più a lungo della vita biologica o anche oltre le distanze del tempo e dello spazio.

La verità credo sia che noi non siamo padroni della vita. Tuttavia, sappiamo che Gesù non ha avuto paura di donare la sua vita e che il dare la vita per altri si è mostrato come il modo più autentico di vivere. Conformando la nostra vita a Gesù, assimilando Lui, forse iniziamo a vivere qualcosa che non avrà mai fine in noi. Può sembrare una frase astratta da dire, ma se avete vissuto un affetto vero -almeno uno- un affetto vissuto come ha lo avrebbe vissuto Gesù, sicuramente sapere che esso davvero non muore, né muore in voi.