IV Domenica dopo il Martirio del Precursore

1Re 19,4-8; Sal 33; 1Cor 11,23-26; Gv 6,41-51

“Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso”.
Quello che abbiamo di più caro. Vorrei che ci fermassimo su questa espressione: “quello che abbiamo di più caro“. Cos’è quello che abbiamo di più caro?
E’ la domanda che dovremmo farci ogni volta che insieme mangiamo questo Pane, se siamo qui ogni volta con una coscienza disposta a mettersi in gioco.

Lo sapeva un uomo ricco francese che lasciò tutto e andò in Algeria a insegnare botanica, matematica… a un gruppo di poveri di quelle regioni: perché nella sua tenda aveva solo un tabernacolo con un pezzo di pane consacrato. E oltre agli stranieri non aveva null’altro che questo pezzo di pane davanti al quale passava molto tempo in silenzio.
Lo sapevano, nella Russia occupata da Stalin, quegli uomini -centinaia- che si trovavano alle fermate degli autobus, ma non per aspettare i mezzi, perché da delle lattine o scatolette di tonno ripulite, si facevano passare briciole di pane consacrato… perché era proibito celebrare l’eucaristia. Quella latta di ferro è oggi nei musei vaticani accanto a un calice con le gemme.
Lo sapeva l’arcivescovo Romero quando fu ucciso mentre celebrava la S. Messa, malgrado fosse stato avvisato di non farlo. O Padre Procolo, in Messico, quando seguito dai servizi segreti distribuiva clandestinamente la comunione tra i palazzi, sotto la repressione delle leggi Calles.

Quanti esempi ci stanno di fronte! Se avessimo un poco il senso della storia sapremmo cosa ha sostenuto la storia, cosa è stato davvero “il pane del cammino”. “Sostenuto” davvero, altro che il nuovo iPhone, per qualche curioso che non ha nulla di meglio da desiderare o di cui parlare.
Non solo ieri. Ricorderò tutta la vita quando in carcere a Busto, un Signore di 50 anni recluso al posto del figlio, e in grande difficoltà mi disse: “Giacomo ringrazio chi mi ha insegnato a pregare, perché qui la frase migliore che hanno da dirti è “guadi un po’ più di TV per distrarti” “. Come ricordo questo ragazzo che è appena entrato in seminario a Seveso (quasi come Davide) e alla sera festeggiato dai suoi amici dice: guardate non vi faccio tanti discorsi, io sono qui perché non ho incontrato nulla di più caro di questo nella vita. E ci lascia con i brividi. Ecco.

Cosa ho di più caro? Cosa è davvero importante? Io dico ai ragazzi: non dite le emozioni: se viveste in una macchina che vi da continuamente emozioni felici, che appagasse ogni vostro desiderio, questo vi basterebbe (è il film Matix)? E dico ai ragazzi: non dite “i vostri cari”, “i vostri amici”: perché si chiama “amore morboso” quello che fa degli altri un Dio.
Dico guardate chi vi ha voluto bene davvero: lui cosa diceva di avere di più caro?
Quante persone che ci hanno voluto bene hanno detto: guarda che io non ho incontrato nulla di più caro di questo, di questo pane del cammino, di questo Signore che ho imparato a chiamare “amico”. Costoro, ognuno che è qui ne ha incontrato almeno uno così, costoro ci hanno voluto bene (magari anche per poco) ma in modo molto diverso dagli altri, in modo molto più libero e più vero.

Chiudo dicendo: generare alla fede è riportarci a questa domanda, ritornare alla coscienza di ciò che abbiamo di più caro.