IV Domenica dopo il Martirio

Letture

LETTURA Is 63, 19b – 64, 10 Lettura del profeta Isaia In quei giorni. Isaia pregò il Signore, dicendo: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti, come il fuoco incendia le stoppie e fa bollire l’acqua, perché si conosca il tuo nome fra i tuoi nemici, e le genti tremino davanti a te. Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. Signore, non adirarti fino all’estremo, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. Le tue città sante sono un deserto, un deserto è diventata Sion, Gerusalemme una desolazione. Il nostro tempio, santo e magnifico, dove i nostri padri ti hanno lodato, è divenuto preda del fuoco; tutte le nostre cose preziose sono distrutte». SALMO Sal 76 (77) Vieni, Signore, a salvare il tuo popolo. Nel giorno della mia angoscia io cerco il Signore, nella notte le mie mani sono tese e non si stancano; l’anima mia rifiuta di calmarsi. Mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito. R Ripenso ai giorni passati, ricordo gli anni lontani. Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: medito e il mio spirito si va interrogando. R Forse il Signore ci respingerà per sempre, non sarà mai più benevolo con noi? È forse cessato per sempre il suo amore, è finita la sua promessa per sempre? R O Dio, santa è la tua via; quale dio è grande come il nostro Dio? Hai riscattato il tuo popolo con il tuo braccio, i figli di Giacobbe e di Giuseppe. R EPISTOLA Eb 9, 1-12 Lettera agli Ebrei Fratelli, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario terreno. Fu costruita infatti una tenda, la prima, nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani dell’offerta; essa veniva chiamata il Santo. Dietro il secondo velo, poi, c’era la tenda chiamata Santo dei Santi, con l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovavano un’urna d’oro contenente la manna, la verga di Aronne, che era fiorita, e le tavole dell’alleanza. E sopra l’arca stavano i cherubini della gloria, che stendevano la loro ombra sul propiziatorio. Di queste cose non è necessario ora parlare nei particolari. Disposte in tal modo le cose, nella prima tenda entrano sempre i sacerdoti per celebrare il culto; nella seconda invece entra solamente il sommo sacerdote, una volta all’anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per quanto commesso dal popolo per ignoranza. Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era stata ancora manifestata la via del santuario, finché restava la prima tenda. Essa infatti è figura del tempo presente e secondo essa vengono offerti doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre: si tratta soltanto di cibi, di bevande e di varie abluzioni, tutte prescrizioni carnali, valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate. Cristo, invece, è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna. VANGELO Gv 6, 24-35 ✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni In quel tempo. Quando la folla vide che il Signore Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Date vi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

C’è una frase che sempre mi colpisce in questo Vangelo: “voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. Come dire: c’è un modo di cercare Gesù che è sbagliato e per il quale Lui non si fa trovare. Questo modo è pensare che la religione possa saziarci, possa semplicemente riempire una qualche mancanza. Non c’è nulla di sbagliato in sé nel cercare del pane, è questo il tema del lavoro e della fatica. Ma non è l’aspettativa che possiamo avere con Dio.
Mi viene in mente che non è neanche il modo giusto per affacciarsi alla Chiesa. Molti si affacciano alla Chiesa con qualche pretesa: vogliono che la Chiesa faccia l’oratorio estivo, che il prete sia disponibile, vogliono che insegni la fede ai figli, che dia i sacramenti (purché però non ci chiedano troppi incontri).
Persino si viene a Messa con l’idea di poter “portare a casa qualcosa” e il prete deve essere bravo nella predica. Non c’è nulla di male in queste richieste, però, mi viene da osservare, che la Chiesa non è in grado di rispondere e di saziare tutta questa gente: non ci sono i catechisti, mancano i preti, mancano gli educatori. E a fronte di richieste sempre più elevate e standard sempre più alti, noi stiamo scomparendo o diventando anziani.   
La domanda è: non è che forse invece di pretendere che sia la Chiesa a cambiare, non dovremmo cambiare la nostra prospettiva? Non ci viene il dubbio che la prospettiva di cercare Gesù o di cercare la Chiesa per “portarsi a casa qualcosa”, per venire a prendere qualcosa, non sia quella giusta? Non è che forse dobbiamo chiederci: dove e come posso dare qualcosa, come posso lasciare qualcosa di me?

La fame di pane non finisce mai nella vita. Questo è un dato di fatto e vale per qualsiasi tipo di pane: il desiderio umano è davvero inarrestabile. Credo ci abbiano troppo convinto che ogni mancanza vada e possa essere subito riempita, ogni vuoto colmato e possibilmente “subito”. Ci sono animali il cui cervello non è in grado di fermarsi davanti al cibo: alcune razze canine e di gatti se hanno cibo a disposizione mangiano senza smettere mai fino a lasciarsi morire. Talvolta mi sembra siamo un po’ così anche noi. Forse, se abbiamo tratto un insegnamento dalla tragica esperienza del Coronavirus, se questo male è stato anche in qualche modo segno di altro, almeno per me è stato segno di questo: non tutto è urgente, non tutto può essere risolto subito.  

Dio non è un tappabuchi, ma la lettura di oggi aggiunge anche un altro pezzo: quello che devi cercare, se vuoi vivere le tue manze senza frustrazioni quando non riesci a riempirle, quello che devi cercare è di “vedere un segno”. “Mi cercate non perché avete visto dei segni”. Vedere dei segni è l’alternativa a cercare sempre di riempire ogni nostra mancanza. Il segno è l’unica cosa che ti permette di vivere una mancanza non come una sconfitta.

Tutto quello che possiamo chiedere a Gesù non ci basterà mai se le cose non inizia a diventare segno di altro. Se il pane è solo saziare una fame, non ci fermeremo mai di riempire la nostra pancia.
Lo dico con questo esempio: un amico medico mi diceva: “dare le medicine non è come curare”. Le medicine non sempre sono efficaci e hanno sempre degli effetti collaterali. Curare invece, che è un atto del cuore, anche quando non risolve il problema, il curare è sempre efficace. Fuori da questa prospettiva, non quella della medicina ma quella della cura, anche i miracoli farmaceutici più prodigiosi alla lunga possono non bastarci mai.

Quel medico, quell’infermiere, quell’insegnante… sono stati per me un segno. Non hanno risolto il mio problema, o forse non del tutto, ma sono stati un segno: mi hanno parlato e mi hanno detto che vale la pena vivere così. La vita di Gesù è pane di vita nella misura in cui è segno. Se cerco di portare via qualcosa per me vedo ben poco che mi resta tra le mani. Se invece ci vedo la vita di Dio, se questa vita parla dell’eternità, allora forse tutto cambia.