III Domenica dopo Pentecoste

Letture

LETTURA Gen 2, 4b-17 Lettura del libro della Genesi Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre attorno a tutta la regione di Avìla, dove si trova l’oro e l’oro di quella regione è fino; vi si trova pure la resina odorosa e la pietra d’ònice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutta la regione d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate. Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire». SALMO Sal 103 (104) Benedetto il Signore che dona la vita. Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature. R Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo a tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono; apri la tua mano, si saziano di beni. R Nascondi il tuo volto: li assale il terrore; togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra. R EPISTOLA Rm 5, 12-17 Lettera di san Paolo apostolo ai Romani Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato… Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. VANGELO Gv 3, 16-21 ✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni In quel tempo. Il Signore Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Le letture di oggi sono ricche di molti spunti e io mi limito solo a due osservazioni a partire dal dialogo tra Gesù e Nicodemo. Dialogo che era cominciato con un elogio e delle domande di Nicodemo ma che finisce con una pagina, quella di oggi, dove parla solo Gesù, mentre Nicodemo pare scomparire nell’ombra.

Due aspetti mi colpiscono di questo discorso. Il primo è una affermazione che riassumo così: tutti abbiamo bisogno di essere salvati mentre nella vita facciamo l’esperienza di essere giudicati, ci sentiamo già un po’ condannati. Non è Dio che ci condanna, ma siamo noi stessi a sentirci già condannati (o a condannarci a vicenda) e dentro questa condanna che non viene da Dio capiamo quanto abbiamo bisogno di essere salvati.

È una questione che sento molto attuale. In molte circostanze della vita ci sentiamo “condannati” o “giudicati” dagli altri e anche molto da noi stessi. Come diceva Bernanos “è facile odiarsi, più facile di quello che sembra”. Anche oggi è facile odiarsi a dispetto di molti slogan “sul volerci bene” e questo perché non sappiamo più cosa sia il vero bene per noi. Cosa è “il bene” per me?

Non è vero che abbiamo perso questo bisogno di salvezza, non è vero che ci siamo emancipati al punto da non sentire più una condanna su di noi (che per molti ragazzi oggi si chiama vergogna).
Me ne sono accorto proprio ieri sera. Tornavo a casa tardi, dopo essere andato a trovare amici, incontro in una piazzetta qui vicino un gruppo di miei studenti di quinta. Uno di questi sta diventando un musicista e ha trovato nella musica la sua passione che -come per tanti giovani artisti- è il modo e il canale per raccontarsi ed esprimersi. Ieri sera mi ha dato il testo della sua prima canzone, che già avevo sentito, ma senza riuscire a cogliere il senso delle parole.

Cosa dice questa canzone di un ragazzo? Ieri sera mi sono accorto che dice un grande bisogno di amicizia, di distaccarsi da una società che ti “giudica a seconda del prezzo” che è finta e “di plastica” e insieme a questo il bisogno di superare delle ferite e una propria immagine di sé: una ragazza da dimenticare, delle bugie che si dicono perché non si ha il coraggio di guardarsi allo specchio. In altre parole, credo, proprio un grande bisogno di salvezza a fronte di molti giudizi di condanna.
Ieri sera, leggendo questa canzone ho capito che in tutti c’è il desiderio di Vangelo, ma Vangelo in senso letterale del termine: buona notizia, bisogno di essere salvati, di scoprire che vale la pena, di non sentirsi condannati. Magari espressa attraverso un’alternativa ai costumi sociali o attraverso il semplice desiderio di un amico. Perché è facile sentire su di sé un giudizio, è facile sentire le tenebre (per dirla con il Vangelo di Giovanni). È facile odiarsi; ancora oggi.

La seconda riflessione è questa. Se questo bisogno di salvezza è ancora forte (soprattutto prima di diventare adulti), quello che è più difficile è pensare che Dio abbia a che fare con questo.
Che il Dio che fa esistere questo mondo e la nostra vita non sia spettatore neutro o misterioso, ma prenda posizione, agisca, si arrabbi e addirittura ami. È difficile crederlo sia perché non lo si conosce, sia perché è davvero una scoperta inarrivabile nella vita. Arrivare alla certezza che il nostro Dio ama e prende parte lo sento come il dono più bello che un uomo possa ricevere nel suo lungo cammino della vita. Averne la certezza, ti cambia la vita.  
Dio ha tanto amato il mondo… riuscire a capire questo “tanto”. Riuscire a cogliere che sotto le “tenebre” delle quali siamo e delle quali siamo anche in gran parte responsabili, c’è una alternativa che viene proprio da Dio. Scoprire che la legge della vita, dell’essere, della nostra felicità, non è il “giudizio” (su noi o sugli altri), ma è quel “tanto” per il quale siamo disposti ad amare e a saper perdere anche ciò che riteniamo più prezioso di noi.