III domenica dopo Pentecoste

Gen 3,1-20; Sal 129; Rm 5,18-21; Mt 1,20b-24b

Il tema della “caduta” o del “peccato originale” è tra i più importanti della nostra fede, ma anche tra i più fraintesi. Ci viene spiegato da piccoli insieme ai racconti della creazione come se si trattasse di un semplicemente fatto accaduto. Da allora, più o meno inconsapevolmente circola nella nostra testa questa idea: “veniamo puniti per qualcosa che non abbiamo commesso”. Se ci capita poi di prendere sul serio questo pensiero potremmo restarne scandalizzati: che Dio sarebbe uno Dio che ci condanna in una condizione sfavorevole per qualcosa che nemmeno abbiamo fatto? E’ questo il Dio della Bibbia? Per alcuni è meglio essere atei che credere in un dio così.

Eppure, il tema trattato da Gen 3 è centrale nella comprensione della fede cristiana. Diciamo che “Dio ci salva” e il Vangelo di oggi dice riferendosi a Gesù: “egli salverà il suo popolo”. Ma da cosa ci salva? Di quale salvezza avrebbe bisogno l’uomo? Dite a un ragazzo: “Gesù ti salva” e lui vi risponderà: “da cosa? ho da mangiare, sto bene, chi e da cosa dovrebbe salvarmi?”.
Per fare un esempio dell’importanza del tema, vorrei ricordare che nel XI e XII sec., quando la Chiesa dovette affrontare il problema di una nuova evangelizzazione (perché era così diffuso da rischiare di diventare “insipido”), inventò sulle facciate delle Chiese un’arte che aveva sempre due temi: da un lato la caduta di Adamo, dall’altro la redenzione in Gesù Cristo. Quasi tutti i portali e le facciate di quei secoli parlano di questo: la caduta e la restaurazione, perché si era capito che non si può parlare di una salvezza in Gesù Cristo se non si prende sul serio la nostra condizione di uomini.

In effetti, il tema di Gen 3 è riuscire a prendere sul serio il “male che compiamo”. Non il male che non abbiamo commesso e per il quale saremmo puniti, ma il male che esiste e ci riguarda. Una coscienza che avesse perso questa distinzione, per la quale tutto è ugualmente bene, è una coscienza che non potrà mai percepire la necessità di una salvezza. Ma questo tema è davvero ciò che ci distingue dagli animali: gli animali uccido per sopravvivenza e per essi non c’è un vero bene o un male, mentre noi percepiamo la nostra libertà, percepiamo che possiamo fare del male gratuitamente, come liberamente abbiamo sempre un’altra possibilità.
Nella saga di Harry Potter c’è una frase detta dal cattivo Voldemord che riassume la tentazione moderna (già scritta in Isaia). Voldemord dice: “non esiste bene e male… esiste solo il potere e chi è troppo debole per usarlo!”. Non c’è un bene e un male, non c’è un’etica, c’è solo “il potere” o il “non potere” fare qualcosa. Questo è, in qualche modo, la tentazione del serpente di Genesi. Forse anche un pensiero non così poco diffuso, ogni volta che si liquida la questione della “colpa” o non si percepisce più la responsabilità morale del nostro agire.

Genesi invece insegna una coscienza diversa: il male esiste e ci riguarda. L’uomo “fa” il male, questo è ciò che risulta davvero scandaloso. Ma qual’è la radice di questo male che compiamo? Non la trasgressione di un comando (il potere o il non potere fare qualcosa). Il male non è un semplice errore, ma il sospetto che prima di quella trasgressione ha costruito la fantasia che quel comando (quel “non potere”, quel “non essere Dio”) fosse qualcosa “contro” di noi. Il sospetto che Dio appunto ci abbia puniti in questa condizione “limitata” che è la nostra vita, tendosi per sé la parte migliore. Il sospetto che sarebbe bello per noi “essere come Dio” (essere quindi anche “autonomi”) invece che soltanto quello che siamo (necessariamente quindi in relazione con Lui come con tutto ciò che non dipende solamente da noi).

Questo sospetto è la vera radice del male che compiamo. Lo sappiamo anche dalle nostre relazioni: quando iniziamo a pensare che l’altro ci porti via qualcosa di nostro (il tempo, i soldi, la felicità), tutto ciò che l’altro ci chiede inizia a rivelarsi come un peso, prima ancora che possiamo fargli del male o tradirlo.
Non a caso la fede è l’opposto di questo sospetto: se ciò che mi togli non è perso perché mi fido di te, allora ogni perdita o dono non sarà qualcosa che mi opprime. E quale sarà l’antidoto più grande contro il sospetto che Dio ci abbia puniti in questa vita, tenendosi la parte migliore? Non è forse un Dio che in croce apre le braccia per te? Cosa avremmo ancora da sospettare su Dio, sulla nostra vita o sulla nostra morte, se lui stesso la dona così?

In altre parole, la questione del male non è questione di una trasgressione (ho fatto ciò che non dovevo), ma è questione della fede. Lo iniziamo a compiere a partire da un sospetto sugli altri e su Dio. Credere che siamo puniti per qualcosa che non abbiamo commesso non è altro che dare voce a quel sospetto diabolico che non si fida di Dio e che il testo di Genesi voleva indicare come la vera radice del nostro egoismo.