III domenica dopo l’epifania

Es 16,2-7a.13b-18-17; Sal 104; 2Cor 8, 7-15; Lc 9,10b-17

Due riflessioni su queste letture. La prima riguarda l’episodio della “manna” o “ma-nu?”, come dissero gli ebrei, ovvero: “cosa è?”. Chiamarono questo dono “cos’è?” perché non sapevano cosa fosse. Già questo è significativo: c’è qualcosa di assolutamente inaspettato che ti fa riconoscere i doni del Signore. Il Signore spesso non sazia i nostri desideri ma fa qualcosa di diverso.
L’aspetto però più interessante per me è il fatto che questo dono non sia accumulabile e che tu non possa farne “le scorte”. E’ la stessa cosa che chiediamo nel Padrenostro in quell’aggettivo “quotidiano”. Il “pane quotidiano” è quello che serve a me oggi e non è una garanzia per domani o dopodomani. E’ la stessa idea che ritorna anche quando il Signore dice: “ogni giorno ha la sua pena”. Chiedi “giorno per giorno” e ogni giorno torna a chiedere: il pane insieme a tutto quello che serve per vivere.

Perché non si può stare “tranquilli” per sempre, perché ogni giorno bisognerà tornare a chiedere? Perché la struttura stessa della vita è così precaria e fragile? E’ una delle domande più importanti di tutta la spiritualità cristiana. I rabbini dicono: perché se accumuli la manna essa marcisce. Ma questa risposta non mi ha mai soddisfatto. Io penso che non sia la manna a marcire ma noi stessi. Cioè che nella realtà –al di là dei discorsi da bar– ciò che possiedi, ciò che hai, non è separabile da ciò nel quale tu riponi la tua fiducia per vivere e quindi non è separabile da ciò che sei. Gesù dice: “dove è il tuo tesoro è il tuo cuore”. C’è una unità imprescindibile tra ciò che abbiamo e ciò nel quale poniamo la fiducia per vivere. Allora capisco questo: è bene avere giorno per giorno per continuare a porre fiducia in una relazione, perché io non resti soli fidandomi della mia autonomia.

Ci sono scelte che si potrebbero fare da cristiani. Sia scelte personali sia scelte economiche. Un libro dell’economista Luca Fantacci, scritto diversi anni prima dell’ultima crisi economica, diceva che la causa vera delle crisi sta nell’accumulabilità del capitale, perché il mio avanzo è la mancanza di qualcun altro. Ma noi non siamo qui per cambiare l’economia mondiale. Siamo qui per non marcire noi. Per questo penso che un cristiano debba essere coraggioso. Gesù è severo: “non si può servire Dio e mammona”. Non dico che bisogna fare di più la carità, dico invece che non bisogna mai accumulare, perché inevitabilmente si metterà lì il nostro cuore. Se abbiamo di più del necessario è bene darlo ad altri e domani il Signore non mancherà di quello che ci servirà. Non ci fidiamo?

La seconda riflessione riguarda la sproporzione che avvertono i discepoli tra quello che hanno e quello che serve. E’ una sproporzione che capiamo bene. Penso a tutte le volte che entro in classe e devo dire qualcosa sul Signore: che sproporzione tra quello che ho e che sono e quello che avverto sia importante dirgli. Così le mamme e i genitori con i figli adolescenti che avvertono la sproporzione tra quello che servirebbe a loro per un cammino cristiano e quello che possono dargli.
La sproporzione poi è ben visibile in ogni gesto di carità. Chi fa le docce ai senza tetto lo vede: che sproporzione tra quello che dovremmo fare per le loro vite e quello che possiamo fare.
Penso che questa sia la questione di fondo di questa pagina e dell’esperienza dei dodici: “cos’è questo per così tanta gente?”.
Non ho risposte facile, però è accaduto una volta che mi accorgessi che qualcosa era stato moltiplicato. Il giorno che sono diventato prete ho incontrato fuori dal Duomo tantissima gente. Molti di loro li avevo visti per poco, li avevo incrociati dando al loro pochissimo. Sapevo che non erano lì per me, ma per quello che significavo per loro. Per il significato della mia scelta. Ho pensato: cos’è questo poco per così tanti, eppure ho capito che era abbastanza. Che il nulla che era stato importante per tanti. Tuttavia, non siamo noi a moltiplicare –per fortuna. E dovrebbero bastarci pochi segni per capire che questa sproporzione non viene colmata da noi. Quando aiuto i ragazzi a studiare, finita l’ora capisco che bisognerebbe andare avanti, ma è giusto fermarmi. Perché so che il vero bisogno e desiderio di quel ragazzo io non posso colmarlo. Posso aiutarlo, ma non riempirlo, non risolverlo, non sfamarlo. Come dire: al di là della nostra ansia, solo il Signore moltiplica.