III Domenica di Quaresima

Es 34,1-10; Sal 105; Gal 3,6-14; Gv 8,31-59

Il dialogo prende avvio da una parola di Gesù che invita a custodire il suo messaggio come garanzia di autentica libertà e procede con uno schema dialettico di opposizione tra Gesù e i suoi interlocutori. L’opposizione fondamentale è tra due “paternità” disparate: quella di Dio e quella del diavolo. Tutto il dibattito infatti, da un certo punto in poi, si basa sulla nozione di “padre” per sfociare nella doppia dichiarazione: “da Dio / non da Dio”, secondo che si ascolti o no la Parola. Prima indicata con qualche allusione (“fate le opere del padre vostro… non siamo nati da prostituzione”) e poi messa a nudo, la figura del diavolo crea lo sfondo di falsità sul quale si compie il dramma dell’incredulità e della sfiducia in Gesù. Il comportamento del diavolo, d’altra parte, è descritto come l’inverso di quello di Gesù stesso: quello preferisce “ciò che è propriamente suo”, mentre Gesù ciò che ha inteso dal Padre e non “da sé stesso”. Quello è omicida fin dal principio; Gesù libera dalla morte. Quello proferisce menzogna, mentre Gesù dice la verità.

Vorrei approfondire questo esplicito riferimento alla figura di un “diavolo” ormai totalmente scomparso nella predicazione moderna. Tra Dio e l’uomo si troverebbe un personaggio il quale, senza togliere all’uomo la sua responsabilità, darebbe ragione del rifiuto della Parola di Dio e dell’odio omicida. Un simile modo di parlare viene percepito bene dalle persone formate al catechismo tradizionale, ma oggi? Sono numerosi coloro che relegano questa rappresentazione delle cose al museo delle immaginazioni inutili se non dannose. Ma rifiutare l’intervento del diavolo non sarebbe buttare via il bambino con l’acqua sporca?

Vediamo cosa comporta il linguaggio di Gesù secondo Giovanni. In origine, il termine “satan” significava semplicemente un avversario spesso politico o religioso. A partire dalla fine dell’esilio babilonese questo termine, sotto l’influenza del pensiero iranico-babilonese, il termine diventa assume prima il senso di “tentatore” e poi acquista la funzione di sgravare Dio dalla responsabilità delle azioni malvage che, secondo la mentalità semitica, gli venivano in definitiva attribuite: non dipende forse tutto da Dio? La prova alla quale Abramo è sottoposto da Dio, diviene, nel libro dei Giubilei del 100 a.C., la prova che il “satana” sottopone al patriarca. Da allora questo personaggio diviene malefico e nel libro della Sapienza assimilato al serpente dell’Eden.
Al tempo di Gesù la personificazione di questa potenza del Male era così avanzata che, anche per influsso del pensiero iranico, i “demoni” si moltiplicano sotto il dominio di un “principe dei demoni”. In questa situazione l’uomo si trova alle prese di due potenze: l’angelo di Dio e l’angelo delle tenebre, il quale acquisisce una esistenza quasi autonoma e una personalità non ben determinata.

I vangeli evitano molti eccessi di molta letteratura al loro contemporanea, ma sono ugualmente convinti che ci siano dei demoni che infestano l’esistenza degli uomini e che Gesù trionfa su di essi con i suoi esorcismi. Giovanni evita molto folklore, tuttavia: Satana è entrato in giuda, quando accetta il boccone datogli in segno di comunione e spinge ora a rifiutare il messaggio di Gesù.

Si deve prendere alla lettera questa messa in scena? Io ritengo di no. Conviene anzitutto rispettare un principio di ordine linguistico: in una proposizione si deve distinguere ciò che viene affermato e il presupposto che rende comprensibile tale affermazione. Un esempio: quando Gesù si richiama al personaggio Giona per invitare i suoi uditori alla conversione ne parla come di un personaggio in carne ed ossa. Tuttavia, nessuno ai nostri giorni oserebbe dedurre da ciò che Gesù ha affermato l’esistenza storica di Giona. Non ci troviamo sulla stessa linea a proposito di Satana? Gesù ne parla secondo le credenze giudaiche del tempo, ma non ne afferma direttamente l’esistenza come di un essere individuale. A questo proposito è interessante notare come Giovanni usi alternativamente anche la categoria di “mondo” o “Principe di questo mondo” per indicare il principio dell’opposizione alla logica del vangelo. Ora, se “Satana” è stato sostituito dal “mondo”, significa che egli era soltanto una figura del Male.

Si deve allora negare l’esistenza di Satana? Certamente no, se ciò significasse misconoscere, ignorare quella connivenza che il Male in tutte le sue forme ha in ciascuno di noi: sarebbe ignorare il carattere universale della potenza di divisione di cui noi siamo vittime e che pure noi stessi alimentiamo. Alcuni per questo continuano a parlare di Satana come di un individuo nefasto, altri ritengono che sia la personificazione del Male universale; ma che importa! L’essenziale è poterlo ancora distinguere e su questo punto sarà bene sostenere il nostro credo. Qualora infatti, insieme all’abolizione del Satana, venisse anche meno la capacità di vedere il male che universalmente ci tenta, nella nostra lotta personale come nella storia universale, saremmo già stati sconfitti. Il relativismo nel quale siamo immersi continua a tentare questa operazione: in ogni epoca “il Satana” sa manifestarsi ma anche nascondersi. Si può perdere il folklore con il quale è stato rappresentato questo personaggio per secoli, ma non si può perdere la dualità della “paternità” sotto la quale decidiamo di stare e che Gesù richiama ai suoi interlocutori.