III domenica di Quaresima

Es 34,1-10; Sal 105; Gal 3,6-14; Gv 8,31-59

All’inizio del Vangelo c’è un’affermazione di Gesù che scandalizza i suoi interlocutori e che diventa il motivo dell’acceso dibattito. Gesù dice più o meno così: voi non siete liberi, ma diventate liberi incontrando una verità (che sono io).
Bisogna prendere sul serio questa frase! Cosa significa che uno non è libero, ma che attende di essere liberato? Liberato da cosa? Da dei vizzi? Da delle leggi morali? Dal mal di pancia?

Noi inconsciamente pensiamo più o meno così: io sono libero, infatti posso spendere i soldi come voglio, posso votare, posso odiare… il problema al massimo sono le circostanze esterne a me e cioè: il problema è la moglie che mi obbliga, il papà che rompe, i soldi che sono pochi, gli altri ai quali mi sono legato… ma io sarei libero. Questo modo di pensare genera anche tra noi una certa paranoia: il problema sono i soldi, è la salute, sono i vicini di casa, è il figlio… Cioè, tutti sono un po’ nemici, oppure, la realtà è nemica e ostile alla mia libertà.

Il Vangelo dice che non è vero questo modo di pensare, ovvero che noi saremmo liberi e gli ostacoli alla libertà sono gli altri. Perché non è vero? Perché è un’idea astratta che non rende ragione di noi stessi. Considera un uomo senza paura, senza angosce, senza vergogne, senza inconscio, senza rimorsi, senza peccato… Nella realtà io non sono libero perché sono fatto di timidezze, di paure, di ansie… Questa è la realtà, non un uomo astratto che può scegliere! Ricordiamoci di Gesù quando ammonisce i discepoli dicendo che non sono le cose dal di fuori che contamino l’uomo ma quelle che vengono dall’interno, “dal cuore dell’uomo nascono infatti… ”

Come racconta questo Vangelo, quando Gesù porta avanti questo discorso, proprio come effetto che noi non siamo liberi perché abbiamo delle paure (della vita, della morte, del futuro dei figli) ecco che appare che dobbiamo sempre dimostrare qualcosa. I Giudei devono dimostrare qualcosa, devono dimostrare che hanno Abramo dalla loro parte, devono dimostrare che hanno ragione.
Faccio un esempio banale ma che serve a dire la concretezza del nostro discorso: ricordo una signora anziana che si lamentava che sul pianerottolo del condominio c’era la carrozzina dei vicini che stavano in un monolocale con due figli e in più la mamma era incinta. E chiedo a questa signora perché gli desse fastidio, pensando che dicesse: “se tutti fanno così”… Invece dice: perché è un fatto di principio! E cosa è questo principio? Lo dico io cosa è: è che non lo so, ma che io voglio godere, voglio essere obbedito, voglio essere io!

Tanto più uno ha paura quanto più percepisce una dipendenza che libera come una dipendenza che limita e l’evidenza di essere un “non tutto” si trasforma nella dubbio struggente di “essere un niente”. Così accade nella dinamica di questo dialogo di Vangelo: siccome i Giudei devono accettare di essere liberati, di non essere “tutto”, di aver bisogno di una Verità, allora pensano di essere niente. E’ dunque meglio far fuori Gesù.

Spinoza diceva una cosa interessante a questo proposito. Lui distingueva una “potens” (potenza) da una “potestas” (potestà, potere). La “potens” era la dignità delle cose, la forza interiore, il mio essere io. La “potestas” era invece il potere sugli altri, il dominio e l’essere obbediti. E aggiungeva: c’è una legge che dice che quanto più uno diminuisce la “potens” quanto più ha bisogno di “potestas”, quanto più ha paura di sé quanto più ha bisogno di dominio sugli altri. E’ quello che ci capita: siccome non sappiamo portare a pesca nostro figlio, non abbiamo voglia di cucinare bene, non ci piace leggere, la televisione ci annoia… allora “voglio essere obbedito”, allora “mio figlio non fa quello che dico”…

Il Vangelo ricorda che dobbiamo sempre essere liberati. Da cosa? Dalle paure, dalle vergone, dall’ansia di essere niente solo perché non si è tutto (o non si ha tutto). Quando si riconosce invece il nostro legame originario con gli altri e con Dio il mondo non è più il limite della nostra libertà (e non si cerca più di far fuori gli altri che ci ostacolano) ma la condizione di una esistenza felice e appassionata proprio perché limitata e desiderosa di essere sempre liberata.