III Domenica di Pasqua

At 28,16-28; Sal 96; Rm 1,1-1-16b; Gv 8,12-19

1) Il contenuto della parola “seguire”.
Cosa abbiamo ascoltato in questo Vangelo? Che Gesù chiede esplicitamente di essere seguito (“chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”).
Era già capitato in precedenza che molti se n’erano andati e avevano smesso di seguirlo. Perché lo avevano abbandonato? Giovanni dice, in particolare dopo le parole nella sinagoga, dopo la moltiplicazione dei pani: “perché non capivano”, “perché Gesù faceva discorsi troppo duri”, perché forse avevano un’altra concezione della vita. Allora, lì si racconta che Gesù chiede a Pietro: vuoi smettere anche tu di seguirmi? E Pietro, che a dire il vero anche lui non aveva capito tutto, tuttavia risponde: “solo tu hai parole che corrispondono al mio cuore”, all’esigenza della mia vita. Ecco cosa è accaduto: qualcuno ha continuato a seguirlo, non perché capiva tutto, ma perché seguirlo era trovare qualcuno e qualcosa che corrispondeva al cuore, qualcuno che corrispondeva alla vita in modo diverso dagli altri.

Seguirlo non è significato allora “capirlo” o “approvare quello che Gesù diceva”. Cosa è il contenuto della parola seguire? Paolo direbbe: “avere gli stessi sentimenti che Gesù ebbe verso il Padre”. Per questo motivo in questo brano di Vangelo Giovanni subito dopo dice su Gesù: “chi vede me vede il Padre” e parla del “seguire Dio da parte di Gesù”. Ricordate Antonelli che diceva: “la volontà di Dio è solo la volontà di Gesù Cristo”. Se Gesù non ha mai voluto storcere un capello a un uomo questa non sarà mai la volontà di Dio!”. Conoscere qualcosa di Dio è solo conoscere Gesù.
Seguire Gesù è assumere lo stesso atteggiamento che lui ebbe verso Dio e verso la vita.

Potremmo chiederci allora: Gesù che atteggiamento ha avuto verso Dio? Ce lo chiediamo perché questo può essere il nostro, anzi, deve essere il nostro, deve essere l’atteggiamento nostro verso Gesù perché solo questa è la sequela. Gesù pensava “che tutto era del Padre”, che “veniva dal Padre”, “che ritornava a Lui”. Per Gesù era evidente che Dio era tutto e per ciò bisognava aderirgli anche quando era incomprensibile il suo atteggiamento, anche quando gli chiedeva la vita. Cristo riconosce, accetta e aderisce al disegno del Padre.

Anche noi possiamo essere qui con mille atteggiamenti diversi. Invece, noi mangiamo insieme, riflettiamo e discutiamo insieme, speziamo questo pane, solo perché questo è stato l’atteggiamento di Gesù nella vita e il suo compito. Solo perché così (seguendo) si corrisponde all’esigenza vera del cuore. Solo allora io so “da dove veniamo e dove andiamo”… per parafrasare il vangelo.

2) La ragionevolezza della parola “seguire”.
La riuscita della vita sta in chi seguiamo, in chi abbiamo deciso (o non deciso) di seguire. Qui sta tutta la riuscita della nostra vita. Per questo dovete sempre domandarvi: io chi sto seguendo? che mode sto seguendo? che amici sto seguendo? Perché la riuscita della nostra vita dipende non solo da noi, ma soprattutto da colui al quale stiamo obbedendo. A cosa diamo ascolto nella vita? Ai nostri istinti? Ai nostri umori che cambiano? Alle nostre tradizioni? A dei compagni?
Io ho la percezione che l’unica cosa che fa grande la mia vita è il fatto che seguo Gesù Cristo. Se non seguissi qualcuno o se seguissi me stesso o se seguissi le mode che c’erano anche ai mie tempi, la mia vita non avrebbe una grande riuscita.

Seguire Gesù Cristo è ragionevole perché è rispondere all’esigenza del cuore, di quel cuore che prende sul serio la vita, che sta di fronte alla vita. Senza che voi ci pensaste, se siete qui a questa eucaristia consapevolmente, è perché qualcuno vi ha fatto dire: “qui è diverso”. In cosa sta questa diversità? Anzitutto in una serietà del vivere. Normalmente per la gente è serio il problema dei soldi, il problema della scuola o della donna. Per il mondo tutto è serio eccetto la vita. Seguendo Gesù Cristo uno è affascinato non da un modo di risolvere il problema dei soldi o della scuola o della donna…, ma da persone che stanno di fronte al problema della vita nella sua interezza, da un modo di vivere che porta con sé il significato e la serietà del vivere.

L’alternativa alla vita come sequela è l’istintività. Per questo la prima lettura dice: l’alternativa è solo il cuore duro che non vede. “Il cuore di questo popolo è diventato insensibile, / sono diventati duri di orecchi / e hanno chiuso gli occhi…”

Ma se uno percepisce che nella vita è necessario seguire qualcuno o qualcosa allora fa un’altra scoperta: che la vera obbedienza è una amicizia. Cosa fa diventare amici? O il sentimento e l’istintività oppure il riconoscere una obbedienza. Una amicizia senza obbedienza è una cosa sentimentale, molto istintiva, ma senza storia e senza futuro.