III Domenica di Pasqua

At 16, 22-34; Sal 97; Col 1, 24-29; Gv 14, 1-11a

Vorrei approfondire le due domande che sono contenute in questo vangelo. La prima di Tommaso che dice “non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?” e la seconda di Filippo che afferma: “mostraci il Padre e ci basta”. Penso sia importante capire il senso di queste obiezioni. Sono rimaste nella memoria dei discepoli forse perché riguardavano anche la prima comunità e dunque anche noi. Vedo in queste domande due grandi modi di pensare che sempre dobbiamo fronteggiare.

La domanda di Tommaso: “non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?” suona totalmente stonata nel contesto. Gesù ha appena detto dove sta andando, Pietro glielo aveva chiesto: “vado al Padre”. O Tommaso era veramente distratto, oppure qui si sottolinea che dove va Gesù “Tommaso non può andare” o almeno “non subito”, come per Pietro del resto. Prima deve accadere per Gesù, poi potrà accadere per gli altri.
E’ questa una grande obbiezione: se non so chi è Dio, se non conosco il Padre, se non conosco la destinazione della mia vita, che senso ha una strada, un cammino, una compagnia, una comunità? Che è come dire: se anche i cristiani hanno anche loro i loro dubbi, le loro incertezze, “non sono mica così sicuri”, che senso ha percorrere quel cammino?

La seconda domanda è ancora più radicale: “mostraci il Padre e ci basta”. Quasi senza una strada, una via, sarebbe sufficiente avere su Dio una qualche certezza, avere sulla morte e sulla vita una qualche forma di sicurezza. Perché senza tale sicurezza anche il cammino di tanti anni assieme con Gesù appare inutile.

Eppure in tanti anni che Gesù era stato con loro, possiamo pensare tre o più anni, lui si era mosso in modo diverso. Da quel primo incontro dove gli aveva chiesto “cosa cercate” e loro avevano risposto “dove abiti” e lui “venite e vedrete”, da quel primo invito, altro non aveva dato loro che una compagnia di vita quotidiana fatta delle sue parole e dei suoi gesti. Nessuna certezza evidente su Dio, nessun volto del Padre se non un cammino quotidiano lungo e continuo, un assimilare giorno per giorno il modo affascinante di vita di questo uomo.

Cosa voleva dire Gesù con questo stile? Cosa vuole dire ora con questa risposta quasi enigmatica: “io sono la via, la verità e la vita”? Che sapere di Dio, come sapere del Padre, è troppo poco all’uomo. Troppo poco! Sapere delle cose su Dio non è l’obbiettivo di Gesù, non è dove va Gesù. Per “sapere” delle cose su Dio, per avere una verità certa da mettersi in tasca, basta un libro o un catechismo. Perché è poco? Perché un sapere implica una distanza: ci sei tu e c’è ciò che sai. Invece qui Gesù parla di una comunione: bisogna essere uniti a Dio e al Padre per sapere davvero di Lui. Non vuole dirti di Dio, ma farti come lui. Per questo occorre che prima accada per lui. Conosci delle cose di tua moglie o di tuo marito solo nel vincolo di una comunione che ti trasforma, altrimenti quella conoscenza sarà sempre adombrata da un dubbio, da una distanza, da una non comprensione.

La conoscenza di Dio è un partecipare, è un conformarsi, è un essere trasformati così come lui è. Solo questa vale la pena di essere scoperta e seguita. Solo così si conosce il Padre, diventando come il Padre è. Diventando! Come quando scopri alcune capacità che hai (per esempio che sai suonare la chitarra) e così scopri chi sei: questa scoperta non avviene perché qualcuno te lo dice, ma perché ci provi, perché le riconosci vivendole.

Per questo la risposta di Cristo, conformemente al senso di tutta la sua vita non è: la “via” Tommaso è questa… o il Padre è fatto così… Ma dice: “sono io”, cioè “è una relazione con me che te lo farà assimilare per partecipazione giorno per giorno”. Solo una relazione è in grado di trasformare e quindi di far scoprire una verità. Non c’è verità reale che non nasca da un lento assimilare e che ci trasformi. Le verità che non ci trasformano sono verità astratte e inutili.

Riconosciamo sempre il rischio della domanda di Tommaso e di Filippo: chiedere altro fuorché la relazione. Essa nasce nel momento in cui cogliamo il rischio di volerci togliere da una relazione o forse di non volerla neanche cominciare. Del resto –lo sappiamo benissimo– una relazione con persone, con la Chiesa, con una comunità, chiede la tua disponibilità a lasciarti conoscere, a coinvolgerti, a legarti, a seguire qualcuno. Una via che sappiamo potrebbe essere rischiosa e trasformarci, ma è l’unica che porta davvero al Padre.