III domenica di Avvento

Is 35,1-10; Sal 84; Rm 11,25-36; Mt 11,2-15

La domanda che fa Giovanni dal carcere della fortezza di Macheronte (in foto la ricostruzione) è un po’ la nostra domanda di sempre. Giovanni è in carcere, Gesù è il Messia, tuttavia Giovanni non viene liberato. Perché? Prima di ogni cosa, questa pagina riporta questa drammaticità. Infatti, la risposta di Gesù sono i gesti che Isaia descriveva come i segni dell’arrivo del Messia, tranne uno: liberare i carcerati. Perché Gesù non libera Giovanni dal carcere? Perché con l’arrivo del Regno non si pone fine al mistero dell’iniquità degli uomini? Perché celebriamo il Natale in questo 2016 e l’uomo continua a fare il male e a restare impunito. Come mai gli oppressi e schiacciati non vengono riscattati ancora?

La novità che Gesù introduce rispetto alla domanda di Giovanni è la novità che distingue “il più piccolo” che è più grande rispetto al tempo antico. E’ la novità che permette che “il regno dei cieli subisca violenza e i violenti se ne impadroniscano”. Novità fuori dalle nostre attese. Di cosa si tratta? Che il Regno non viene se non attraverso la nostra libertà. Non accade al di sopra della nostra libertà ma accade dentro la nostra libertà, mai senza. Ha bisogno del “sì” di Maria, della sequela di Pietro, della fede della emorroissa. E se Dio davvero punisse i malfattori, noi righeremmo tutti diritti, ma non saremmo più “noi”.

Se un ragazzo decide di smettere di pregare e di non credere, Dio non forza questa decisione. Resterà alla porta della sua vita in mille modi (anche inimmaginabili) fino alla fine ma dovrà attendere una sua risposta. Senza la sua libertà non accade nulla. Per questo Gesù subito dopo se la prende con la folla. Perché questa invettiva? Cosa aveva fatto la folla? Non era lei l’artefice di quel dubbio. Forse possiamo pensare che se la folla avesse capito, se si fosse convertita, se in quegli anni la parola di Gesù fosse stata accolta in altro modo, Giovanni non sarebbe già più in carcere. Non avrebbero permesso quell’arresto. Forse.

Consideriamo la portata di questa rivoluzione. Dio si identifica solo nel libero acconsentire al bene e alla causa degli uomini. Ma egli non sradica il male, solo lo rende visibile per chi crede. Questo rende radicalmente diversa anche la preghiera. Non si può pregare perché le cose accadano al di fuori del nostro agire e della nostra responsabilità. La preghiera sarà assieme il desiderio che qualcosa accada dentro di noi: sarà la trasformazione del nostro desiderio, sarà anzitutto la domanda della nostra conversione.

Non c’è desiderio che il mondo cambi che non passi da un desiderio di conversione personale e dalla propria responsabilità. La preghiera di San Bernardo di Chiaravalle lo dice in modo esemplare: “volle venire colui che si poteva accontentare di aiutarci”. Potevamo forse essere aiutati magicamente dall’alto e invece siamo “visitati” da una presenza che liberamente ci affascini e ci converta.
Se un nostro amico sta male e ci chiede aiuto possiamo fare quelli che hanno la soluzione e dall’alto, con una risposta pronta, possiamo fingere di aiutare. Invece c’è una presenza che anche quando non sa aiutare, tuttavia porta assieme un pezzo di quella sofferenza. Ed è un segno di qualcosa di più grande che è venuto a trovarci. Accade così forse perché quello che c’è in gioco si trova ben oltre la soluzione alla nostra difficoltà del momento. Talvolta ce ne accorgiamo anche noi.