II domenica dopo l’Epifania

Link alle letture.

C’è una particolarità di questo racconto che mi ha sempre colpito: quasi nessuno sembra accorgersi del miracolo accaduto. Lo sposo, la sposa, il direttore del banchetto, gli invitati… quasi tutti proseguono nella festa senza conoscere il rischio che stavano correndo. E’ un fatto che mi ha sempre fatto riflettere: la nostra vita procede solo grazie al fatto che “dietro le quinte”, talvolta a nostra insaputa, avvengono molti quotidiani miracoli.

Viviamo in una società stupenda dove basta schiacciare un bottone per comunicare tra noi. Rischiamo però di non vedere mai cosa accade “dietro le quinte” anche nei fatti più quotidiani della vita. Ci appare scontato che per comunicare, ad esempio, basti schiacciare un pulsante. Eppure, tutto ciò è possibile solo perché qualcun altro, ben prima di noi, ha cambiato l’acqua insipida della sua vita in vino di qualità. Per esempio, se noi oggi possiamo telefonare a una persona con un cellulare e parlare solamente con quella persona, lo dobbiamo a una donna, Hedy Lamarr, che faceva l’attrice –anche di film di scarsa qualità– e che di notte riempiva le sue serate studiando ingegneria. Ha creato un dispositivo alla base di tutte le moderne telecomunicazioni, per una passione che l’ha impegnata clandestinamente. Tutto quello che facciamo, lo possiamo fare perché “dietro le quinte” altri hanno fatto miracoli per noi.

Tutto ciò vale anche per le questioni più serie della vita come avere degli amici, costruire una storia affettiva, fare una famiglia. Se non ci ricordiamo di tutto quello che succede –e deve succedere– “dietro le quinte” rischiamo di pensare che per fare una famiglia basti soltanto volerlo e stare sotto lo stesso tetto o che per essere un buon marito basti soltanto essere presenti… così come per comunicare serve a noi soltanto la nostra volontà di farlo. Invece non è così. Bisogna che accada ben altro e bisogno che altri (o Altri) facciano miracoli per noi. Bisogna chiedere e anche pregare perché in una famiglia non accada che manchi il “vino”, perché in una amicizia non accada che ci si perda…

Nei rapporti interpersonali, la sensazione che l’altro sia lì, a portata di mano e che io possa amarlo o anche solo incontrarlo, semplicemente perché “lo voglio”, perché mi va di “passare” da lui, è soltanto illusoria. Non è bello essere profeti di sventura; eppure vien fatto di dubitare di fronte ad una relazione che sembra procedere bene, in fretta, senza costi. Stiamo incontrando l’altro, oppure ciò che ci appare di lui è una semplice proiezione delle nostre aspettative? E magari arriva la delusione. Forse giungeremo a formulare una diagnosi chiara: «Quella relazione non faceva per me!». Magari generalizzeremo pure la conclusione: «Nessuna relazione va bene per me!». Dunque è meglio non affezionarsi a nessuno; non c’è nessun rapporto che valga la pena di essere vissuto in profondità; meglio essere “consumatori occasionali” di relazioni.

In realtà, abituati a non vedere ciò che deve accade miracolosamente dietro le quinte, a ritenere che non sia necessario pregare, chiedere, domandare… là dove ci è apparsa una difficoltà, abbiamo rinunciato al desiderio stesso. Invece, la vita è abitata da un mistero più grande di quello che i nostri occhi sono capaci di vedere. Se non diamo per scontato ciò che accade, ci accorgiamo di come il mondo non sia ancora finito, forse solo grazie alle tante persone che nascostamente “pregano”, “perdonano”, “portano pesi di atri”… portando a tanti altri il vino buono che permette di vivere.