II domenica dopo l’Epifania

Nm 20,2.6-13; Sal 94; Rm 8,22-27; Gv 2,1-11

Tutte le letture hanno in comune la situazione iniziale, quella di una mancanza. Nel deserto manca acqua; alle nozze manca il vino e anche Paolo dice che la creazione e i credenti “gemono” e “sperano” nell’attesa di qualcosa. Mi colpisce come queste situazioni di mancanza siano vicine a noi che pure apparentemente abbiamo tutto. Sono andato in montagna con un gruppo di ragazzi di scuola e l’ultimo giorno abbiamo chiesto se la vacanza era piaciuta. Tanti ragazzi hanno risposto che la vacanza era stata bella perché era “vacanza” e “fine della routine”. Un professore ha obbiettato che per lui invece la vita di tutti i giorni è la cosa bella. Mi ha colpito che quasi nessuno fosse d’accordo con lui e che dei ragazzi di 16 anni pensino alla loro vita quotidiana aspettando le prossime vacanze. Mi è parsa una grande sconfitta educativa.

Anche per i ragazzi sembra che manchi l’acqua, nel senso che il quotidiano è fatto di stress, di prove, di doveri… manca l’acqua. Non ho una risposta facile a questa sensazione. Non ho il bastone di Mosè per rispondere alle lamentele del popolo né posso trasformare acqua in vino. Però ho impressione che ci sia una testimonianza da portare per questi ragazzi ma anche per noi stessi: la vita quotidiana è davvero così un deserto per noi adulti? Quando i ragazzi mi dicono che le vacanze sono belle perché in fondo sono una “fuga”, so che posso ritrovarmi e capirli: anche per me infatti ricominciare è dura. Anche per me la routine di ogni giorno può essere davvero come attraversare il deserto.

Però, posso dire che il Vangelo ha a che fare con questo. Più che con le vacanze, con quel deserto di ogni giorno. Si può dire al Signore, come fa Maria, che “manca qualcosa”. Almeno, in prima battuta lo si può chiedere. Io, in tutta onestà posso dire che alla lunga e in modi spesso inaspettati, quando davvero la vita diviene pesante, qualcosa accade. Però accade sempre o “quasi sempre” nella logica del “segno”. E si potrebbe anche non farci attenzione. Mi è capitato per esempio l’altra sera a un incontro qui in parrocchia. Quasi per caso degli amici me lo ricordano e senza sapere cosa mi aspetta, preso anche io nella fatica di ricominciare il lavoro, trovo in quella serata una parola per me. E torno a casa con la percezione che, dove io mi stavo perdendo qualcuno è venuto a cercarmi, e a darmi un po’ di quell’acqua che serve anche a me. Accade mille e poi mille volte.

Paolo dice: sarà sempre nella forma di una speranza, di un segno. Nessuno ci protegge definitivamente dalla fatica della vita e anche dagli errori di dimenticare il vino o altro (perché sono anche errori nostri, a essere sinceri). Però, come Israele non deve per questo ritornare schiavo in Egitto, ho impressione che non è nella fuga (pensando alle prossime vacanze) che risolveremo davvero la nostra sete.