II Domenica dopo il martirio del precursore

Is 60,16b-22; Sal 88; 1Cor 15,17-28; Gv 5,19-24

Dobbiamo oggi indagare la pretesa di Cristo di essere l’immagine stessa di Dio (“chi vede me, vede il Padre”) e di portare la vita autentica, quella vera che ha un senso e che non è fatica vana… Gesù, in questa pagina, dopo la guarigione del paralitico nella doppia piscina di Betzaida, lo chiede esplicitamente: vuoi uomini avete capito la mia pretesa?

Cosa significa questa pretesa e che credibilità ha?
Anzitutto non può essere soltanto la pretesa di uomo del passato. Se lo fosse sarebbe una contraddizione stessa. Il primo modo per non credere alla pretesa storica di Gesù è limitare Gesù a un evento storico di duemila anni fa. Gesù contraddirebbe le sue stesse parole: lui che dice di essere l’autore della vita, dov’è finito oggi come vivente? Si capisce subito che la pretesa dell’uomo Gesù di duemila anni fa ha a che fare anzitutto con la pretesa di poterlo riconoscere. La questione è la stessa. Se lo riconosci presenza viva allora subito ti è credibile e veritiero quanto dice in questa pagina. Se non lo credi incontrabile davvero e riconoscibile nell’oggi manchi anche di comprendere quel Gesù storico di duemila anni fa o lo dovrai reputare un pazzo, un folle.

Cosa comporta la pretesa di poterlo riconoscere presente oggi?
Chi ha letto “Il vecchio e il mare” di Hemingway lo può capire molto bene. Il vecchio marinaio si mette in barca da solo quasi per capire il mistero della sua vita e compiere l’opera che dia senso a un uomo che “non può che pescare”. Ma il pesce enorme che abbocca alla sua lenza lo porta “troppo lontano nel mare”. L’uomo è certamente questo marinaio: il proprio lavoro lascia una domanda aperta sul senso della nostra fatica e la questione sembra essere tra sé e il proprio destino (o fortuna).
Così il marinaio si lascia trasportare dal pesce (dall’opera della sua vita, come un imprenditore si può lasciare trasportare dall’azienda che crea o il medico dai pazienti che guarisce….) e non resta a mani vuote: domina davvero sui pesci e sugli animali e la sua lotta porta al risultato sperato. Il vecchio uccide l’enorme pesce che desiderava catturare. Il senso sembra raggiunto.
Tuttavia, nel viaggio di ritorno, un branco di pescecani divora il bottino faticosamente conquistato cosicché il vecchio marinaio torna al suo porto con soltanto lo scheletro della sua conquista. Tutto è stato mangiato via… Così chi si imbatte a mani nude per scoprire il mistero tra sé e il proprio destino: non si ha mai fortuna abbastanza da non vedere (alla fine) morire qualcosa. Ma così vive chi esclude la pretesa di Cristo: senza Cristo la questione della tua vita sta, come nel libro, attaccata al pesce, attaccata all’opera delle tue mani (è il tuo lavoro che ti domina), sono le circostanze a portarti a spasso e tu non domini un bel nulla. Arrivi al porto della tua vita con solo scheletri in barca. Dunque, non avrebbero senso le lunghe notti passate a pescare e i calli ai piedi e le ferite alle mani…

Ma il racconto lascia intravedere un’altra possibilità. La possibilità che la salvezza di questo uomo non gli venga dalla conquista e neanche dalla sua stessa fatica, ma dalla compagnia di un ragazzo che gli si era affezionato e che piange le fatiche del vecchio e che si prodiga per curarlo e per portagli il cibo. E’ in questo ragazzo che il vecchio capisce che ha senso il suo vivere, anche se non ha saputo portare a casa nulla, tanto che Hemingway scrive, quando il vecchio torna a casa: “si accorse di come era piacevole avere qualcuno con cui parlare invece di parlare soltanto a sé stesso e al mare”.
Ecco la vera scoperta del pescatore: una compagnia. Cristo è l’unico Dio di cui possiamo goderne la compagnia come di un uomo e il cui volto è scritto nella compagni degli uomini.

La salvezza, il senso del tuo destino, non è una questione tra te e la tua opera (saranno le circostanze a trascinarti via e porterai a casa soltanto carcasse di pesce…) ma c’è di mezzo un uomo, un ragazzo, una compagnia, una compassione… Noi diremmo che sono “quella compagnia” e “quella compassione” che sappiamo essere il segno della presenza viva di Cristo nel mondo.