II Domenica dopo il Martirio del Precursore

Is 63,7-17; Sal 79; Eb 3,1-6; Gv 5,37-47

Merita che almeno sappiamo da dove viene questo frammento di dialogo che oggi la liturgia ci propone, perché appaia un po’ di più dentro la storia che il Vangelo racconta, e un po’ meno come un discorso astratto.

Cosa è interessante per noi? Sottolineo due spunti.
1) Gesù ha una percezione della storia e delle scritture (Mosè) che arriva a un “oggi” della salvezza. I Farisei questo non capiscono: che il passato non è una lettera morta o formale (da rispettare e da non trasgredire) ma un “evento” che mi permette di capire cosa accade oggi.
Quanto è lontana questa visione di Gesù (che ci richiama a una storia da interpretare per scoprire l’oggi) anche da noi, per i quali la storia non è né il passato di un origine (come per gli Ebrei) né il segno di un mistero da leggere.
Aggiungo: non solo quella che studio sui libri è erudizione muta o nozionismo (chiede agli studenti di liceo), ma anche la “mia” storia è diventata fatta di frammenti che sembra non portino a nulla se non alla “sussistenza”.

Rileggete il brano mettendo, al posto di “Mosè”, le “cose della fede del nostro passato”. Il dialogo di Gesù suonerebbe: Ma Cristo è un fatto del passato (un Mosè antico) o una presenza dell’oggi che il passato continuamente testimonia? Cosa dice di noi la lagna nostalgica del cristianesimo che era, dell’oratorio che era, dei valori che erano… se non che non sappiamo più dove sia il Cristo vivente?

2) Al centro del discorso di Gesù c’è una parola: “gloria”. Gloria significa l’onore (così Gesù quando parla dell’uomo che da ultimo arriva primo, “sarà un onore, una gloria, essere portato davanti”). Ma c’è anche un altro significato di questa parola: gloria significa il “peso”, “il valore”, “la consistenza”. Indica quanto una cosa ha consistenza e valore.
Allora è interessante questo discorso perché dice: c’è un valore, un peso della vita che uno si da stando di fronte agli uomini (è un onore). Appare ogni volta che il giudizio degli uomini è più importante della relazione con Dio. Eppure — sta qui il bello di quello che dice Gesù — c’è anche la possibilità che un altra “gloria” abbia nel cuore un peso più grande del giudizi degli uomini. Non è una cosa astratta. Mi ricordo un ragazzo che questa cosa l’ha percepita benissimo e mi ha detto, commentando che lui diceva una preghiera per la nonna scomparsa e i suoi compagni lo guardavano male: “dicano quello che vogliono, don, ma per me questa preghiera è importante “. C’è una esigenza del cuore, una “natura” dell’uomo, che non sta sotto una votazione democratica… che non è giusta o sbagliata se tutti la ritengono tale.
E’ una cosa anche forte che faceva fare grandi cose (fa vivere in modo un po’ diverso dagli altri): se guardate una guglia del duomo di Milano che sta a 80 metri di altezza vi accorgereste che è tutta scolpita fino nei particolari. Perché quello scalpellino si è data da fare per una cosa così inutile, direbbe un uomo di oggi, che nessuno potrà mai vederlo. Bene, si può lavorare in due modi a questo mondo: o per la paura che il padrone veda il lavoro e ci ammiri o ci sgridi, oppure per la soddisfazione personale di stare sotto l’occhio di un altro Padrone che sa apprezzare cose che l’uomo non vedrà mai. Lavorare così, come hanno fatto tanti artigiani del passato, da tutta un’altra felicità nella vita.