II Domenica di Quaresima

Es 20,2-24; Sal 18; Ef 1,15-23; Gv 4,5-42

Non era solito che una donna uscisse a prendere acqua proprio a mezzogiorno, l’ora più calda della giornata. Il momento giustifica la sete di Gesù, ma non quella della donna che comprenderemo alla luce della sua situazione famigliare: non è bene farsi vedere quando non si ha un marito. Almeno non in un villaggio di qualche centinaia di abitanti dove tutti sanno tutto, dove l’andare al pozzo sarà stato non diverso dai nostri luoghi di pettegolezzo. Dunque, c’è una donna che non vorrebbe essere vista da nessuno, teme forse un po’ lo sguardo degli altri e se ne starebbe tutta sola.
Gesù invece la guarda e deve inventarsi una scusa per parlare con lei: le chiede un favore. Chiedere un favore è tra gli atti più accoglienti e difficili tra gli uomini, è l’atto coraggioso per cui una persona osa il proprio bisogno, si espone nella sua mancanza. Domandate a una donna anziana non più autosufficiente “qual’è la cosa più difficile da vivere?”, quasi sicuramente dirà: “dipendere dai favori degli altri”. Personalmente mi sono accorto di quanto sia difficile esporsi a chiedere un favore quando mi si è fermata una sera la moto. Era tardi e un mio amico si è proposto di venirmi a prende. Quanto è stato faticoso chiedere un favore! Così faticoso che ho preferito farmela a piedi. Invece, Gesù non ha avuto paura di questo. Non ci pensiamo mai, ma il modo che ha avuto Gesù di incontrare questa donna, che neanche avrebbe voluto essere vista, è stato quello di chiedere un favore.

Questo ha aperto uno spazio che porterà a un duplice riconoscimento: della donna come sola, senza marito e di Gesù come Messia. Sono due riconoscimenti collegati tra loro: cosa infatti fa abbandonare la brocca al pozzo e mettersi a correre in città? Lo stupore di essere stata riconosciuta, di essere stata vista e non condannata, di essere stata riconosciuta nel proprio segreto. “Tutto ciò che ho fatto”, dice il testo, che significa: “tutta la mia storia, tutto di me”. Ho incontrato su di me uno che mi ha guardato in modo diverso, come neanche io mi sono mai vista. Come accade nel film “Luci sulla città” nello sguardo finale di Charlie Chaplin che viene riconosciuto dalla fiorista che amava (prima era cieca) scoprendo la propria povertà.

Essere riconosciuti è il nostro grande bisogno di uomini ed è la fine della nostra più profonda solitudine. La prima lettura dice di non farsi idoli. Ma cosa è un idolo? Qualcosa sul quale ci appoggiamo per “sentirci” qualcuno, per sentirci “riconosciuti”. Ogni stagione della vita si appoggia ai propri idoli per saziare la sete del nostro riconoscimento: da ragazzo c’è il look, la ragazza che ci voglia bene o i soldi, poi la famiglia da costruire, poi i titoli di studio, poi i figli… tutti sono i nostri “appoggi affettivi”, tutti sono la nostra preoccupazione per poter dire di “essere”, di “esistere”, per sentire che valiamo ed così “essere riconosciuti”. Si dice infatti così: ci riconosciamo nei soldi che abbiamo, nella nostra casa, nei nostri titoli di studio, nel nostro modo di vestire, nei nostri figli… ci riconosciamo! Di questo abbiamo bisogno. Tutto questo è necessario come l’acqua che beviamo, ma ogni tanto è acqua “morta” perché ci accorgiamo che non “ci basta mai”, che non ci pare abbastanza, che non abbiamo più marito, che siamo soli…

L’incontro cristiano è questione di questo riconoscimento, ma come di un’acqua diversa, viva. L’acqua viva è la fine di ogni falso idolo: non occorre neanche più andare a Gerusalemme perché in Spirito e verità, “chiusa la porta di camera tua”, si può stare davanti al Padre ritrovando la propria dignità, come sotto lo sguardo di uno che sa realmente chi sono. Quando ero ragazzo ho visto questo sguardo nel sorriso, nella cura e nell’affetto dei molti amici cristiani che ho incontrato e mi sono sentito come la Samaritana. Ho capito essere uno sguardo diverso da quello del “mondo” e dopo un po’ ho capito provenire da quello stesso modo di guardare agli altri che aveva il Signore Gesù che insegna ad “adorare” senza aver bisogno di idoli e senza neanche la paura di mostrare il proprio bisogno.